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Donald Trump? Lo criticano anche se ringrazia Dio

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Antonio Socci
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Il quotidiano dei vescovi Avvenire è cristiano? L’abc della fede è la gratitudine per quello che Dio ci dà. Papa Francesco invita a ringraziarlo «riconoscendo che tutto il bene è dono suo» e così ha fatto Donald Trump dopo essere scampato per un centimetro alla pallottola. Ma Avvenire ieri lo ha attaccato per questo paragonandolo al patriarca di Mosca che evocò Dio per giustificare l’invasione dell’Ucraina. I due fatti sono del tutto opposti. La gratitudine di Trump è casomai identica a quello di Giovanni Paolo II quando, anch’egli, sopravvisse all’attentato.

Ma il rancore ideologico del giornale clericale mostra solo che non si digerisce Trump uomo di stato e il fatto che Dio abbia un disegno su di lui (come su ognuno di noi). Il laico Massimo Gramellini ieri sul Corriere della sera ironizzava sostenendo che Trump si è salvato solo per «bus de cul». Così avrebbe detto suo nonno romagnolo. Per Dante alla Fortuna - dèa degli antichi romani- va riconosciuto un governo del mondo che segue l’imperscrutabile volontà divina (Inf. VII, 67-96). Pure Anatole France, Nobel per la letteratura, diceva che «il caso è lo pseudonimo di Dio quando non si firma personalmente».

Gramellini ha poi aggiunto che Dio doveva salvare anche l’uomo che partecipava al comizio, Corey Comperatore, «sacrificatosi per proteggere la sua famiglia». È stata una morte eroica e ingiusta, ma è stata causata da chi ha sparato. Quante persone vengono uccise ogni giorno nel mondo. È ingiusto. Del resto, anche per chi scampa a un attentato, la morte è solo rimandata. La morte è sempre ingiusta.

Questa è la tragica condizione umana. Ma non è tutto qui. Nessuno sa quante e quali grazie ha elargito Dio al signor Comperatore (magari più grandi di quella fatta a Trump) e chissà quante volte avrà protetto la sua vita (lavorava come pompiere). Il suo eroismo è amore e Dio premia il martirio. Ogni vita è un mistero che conosce solo Dio. Che non fa ingiustizie di classe. Lo testimonio. C’era una volta un bambino di 5 anni che viveva in un piccolo borgo toscano.

Famiglia proletaria. Un giorno, il 7 dicembre 1964, camminava su un muretto dal quale cadde e sulla strada fu investito dall’auto che sopraggiungeva. Tutti pensarono il peggio. Invece quel fanciullo – che ero io – uscì illeso. Inspiegabilmente. Le ruote passarono a un centimetro dalla testa e l’unica cosa distrutta fu la camicia. I miei, essendo cristiani, ringraziarono la Madonna (era la vigilia di una sua festa) e posero una sua statuetta in quel luogo. Non mi fu tolta l’incombenza di dover morire, un giorno, perché quell’appuntamento è inevitabile per tutti, in tempi e modi diversi. Ma dall’accaduto i miei genitori trassero l’insegnamento che da secoli tutti i cristiani traggono dai casi della vita (riempiendo le chiese di ex voto). Un insegnamento sintetizzato bene proprio da Trump: «Viviamo in un mondo di miracoli e dovremmo ringraziare per ogni singolo momento che passiamo sulla terra, perché è un dono».

 

GRAZIE INVISIBILI
Ci accorgiamo del male che è nel mondo (Dio, come dice la parabola del grano e della zizzania, lo spazzerà via totalmente solo alla fine dei tempi), ma non ci accorgiamo dell’oceano di grazie in cui tutti noi nuotiamo e che limitano i danni del male. I Gramellini che ironizzano su Trump, devono sapere che loro stessi sono dei miracolati, non solo per le tante volte che Dio li ha protetti (senza che se ne accorgessero), ma per il fatto stesso che esistono, che sono stati chiamati alla vita dal nulla, per il fatto che il loro cuore in ogni istante – anche adesso – batte senza che nessuno di loro lo faccia pulsare.

Tutti gli uomini, in ogni istante, sono degli scampati a un naufragio, come ha spiegato nei suoi scritti il grande Gilbert K. Chesterton descrivendo il prodigio continuo e quotidiano in cui siamo immersi. È dunque un Dio “ingiusto”? Quel giorno del ’64 salvò la vita mia, che ero figlio di un minatore, mentre non aveva salvato la vita di suo Figlio che era il Re dell’universo e che era stato macellato nel modo più crudele e umiliante. Il Dio “ingiusto” di cui qualcuno parla a sproposito è quello che non ha risparmiato la croce a suo Figlio per salvare noi e i nostri figli. Lo irridevano gridando: «Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce». Lui, che era Dio, non scese dalla croce perché voleva redimere tutti gli uomini testimoniando il suo folle amore per loro. Ma fece di più. Patì fino in fondo e poi risuscitò. Donando a tutti la resurrezione. Così la morte e il male non sono più l’ultima parola sulla vita dell’uomo.

Ovviamente chi – come me – è scampato, per grazia, sa che comunque nella vita non sono risparmiate le prove (ci sono cose peggiori della morte e senza l’aiuto del cielo si soccomberebbe). Un cristiano sa che la vita è una milizia e che le prove ci sono date perché combattiamo una buona battaglia per ricevere da Dio il premio della felicità eterna. Il cui albore inizia qui. Tutti credono di conoscere il cristianesimo e tutti (i giornalisti, gli intellettuali) ne parlano senza saperne granché, perché è una vita, una grazia, un’alba, di cui fare esperienza (“expertus potest credere,/quid sit Iesum diligere”).

È luce che disperde le tenebre, fa gustare la bellezza e fa vivere umanamente le sofferenze (da soli non possiamo far nulla). È forza. Fa amare eroicamente. È salvezza. Una giovane mamma, dell’età delle mie figlie, Chiara Corbella (è appena iniziato a Roma il suo processo di beatificazione) ha vissuto con l’eroismo dell’amore le tragedie dei suoi bambini, la sua malattia e la morte a 28 anni, nel 2012. Ha lasciato all’unico figlio che le era rimasto una lettera dove si legge: «Tutto ciò che hai non ti appartiene mai, perché è un dono che Dio ti fa perché tu possa farlo fruttare». Guardando il suo volto ci si chiede da dove vengano quella luce, quella forza e quell’amore. È grazia.

 

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