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Joe Biden, sono scomparsi tutti i sostituti: un dramma-dem alla Casa Bianca

Carlo Nicolato
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Il presidente Biden ha già perso e elezioni? Presto per dirlo, ma non è così presto per capire che le sue possibilità di vincerle si stanno riducendo al lumicino. E nemmeno per stabilire che l’eventuale sconfitta sarà in gran parte colpa del suo partito, di come i Dem hanno gestito la patata bollente presidenziale oltre i termini consentiti, sanciti dal tentato assassinio del suo rivale. Il presidente continua a perdere consensi, ogni sua uscita dimostra la sua ormai senile inadeguatezza e sebbene un cambio in corsa sia sempre possibile chi mai si azzarderebbe in questo momento a scendere in campo per sostituirlo con la quasi certezza di perdere?

VECCHI ARNESI
Il vecchio Bernie Sanders non è certo uno di questi, e mai il suo nome è stato fatto in questi giorni, ma l’articolo che ha scritto un paio di giorni fa sul New York Times in cui lui sostiene che farà tutto il possibile perché il suo nemico di sempre Biden venga rieletto è rivelatore. In quelle righe lo storico veterano dell’ala sinistra Dem elenca uno a uno tutti i motivi politici e fisiologici per cui Biden sarebbe invotabile, ma poi sostiene che lo appoggerà perché è l’unico che può battere il “demagogo” e “bugiardo” Trump. O è perché non c’è nessuno, o quasi, disposto a provarci?

 

Si dice che altri vecchi del partito, da Obama, che vecchio non è, a Pelosi, stiano lavorando per convincere il presidente a farsi da parte prima della convention democratica di nomina del 19 agosto. In realtà il tempo a disposizione è ancora più ridotto dal momento che, secondo le regole, l’appello virtuale di nomina deve tenersi entro due settimane prima, in questo caso il 7 agosto. Compito arduo viste le recenti dichiarazioni del presidente. Se Biden tenesse duro i delegati potrebbero sfiduciarlo facendo appello alla regola secondo cui «tutti i delegati alla Convenzione Nazionale che si sono impegnati a sostenere un candidato presidenziale devono in tutta coscienza riflettere i sentimenti di coloro che li hanno eletti». 

Ma è una cosa mai accaduta, fortemente divisoria e potenzialmente letale per il partito. Detto questo chi potrebbe essere in lizza perla sostituzione? Ovviamente il candidato alternativo più quotato è Kamala Harris che già riveste la carica di vicepresidente e quindi nel suo caso si tratterebbe di un avvicendamento istituzionalmente naturale. Kamala oltrettutto sta già facendo campagna elettorale in ticket con il presidente di cui gode illimitata fiducia (anche se pare non della moglie). La Harris ha anche il vantaggio, diciamo così, di essere di poche pretese e sa che l’unica chance che può giocarsi per accedere alla Casa Bianca dalla porta principale è questa. Insomma, non può tirarsi indietro.

 

POCHE PRETESE
D’altro canto anche all’interno del partito, specie proprio all’interno del partito, Kamala gode di poca fiducia e viene considerata una candidata debole, poco convincente in questi tre anni e mezzo di mandato in cui è in pratica riuscita a costruirsi un reputazione positiva solo in tema di aborto. Il tasso di approvazione attualmente al 38%, in linea con quello di Biden, è indicativo.

Tra gli altri certamente il più papabile è il governatore della California Gavin Newsom, decisamente lanciato verso una carriera politica ancora più luminosa e per tale motivo probabilmente ben poco disposto a bruciarsi in una corsa presidenziale con pessime prospettive di vittoria.

Si vocifera anche del governatore del Michigan Gretchen Whitmer, di quello della Pennsylvania, Josh Shapiro, di quello dell’Illinois J.B. Pritzker e di Andy Beshear del Kentucky.Nessuno di questi tuttavia è un kamikaze e qualcuno, come la Whitmer, ha già fatto un preventivo passo indietro. Michelle Obama? Solo una suggestione dura a morire.

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