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Iran, la "colomba" Pezeshkian è in mano ai falchi: tutta la verità sul neo-presidente

Maurizio Stefanini
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Il mondo libero ha festeggiato per quella che è sembrata la vittoria inaspettata di un outsider alle presidenziali iraniane. In realtà, il funzionamento della Repubblica islamica dovrebbe indurre a maggiore prudenza. Massoud Pezeshkian sarà anche un “riformista” ma ieri ha fatto sapere che con lui alla presidenza l’Iran continuerà ad appoggiare Hezbollah. Lo ha assicurato nella risposta a un messaggio di congratulazioni del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, promettendo di sostenere la «forza di resistenza» allineata con Teheran nella regione.

«La Repubblica Islamica dell’Iran ha sempre sostenuto la resistenza del popolo della regione contro l’illegittimo regime sionista. Il sostegno alla resistenza è radicato nelle politiche fondamentali della Repubblica Islamica dell’Iran, negli ideali del defunto Imam Khomeini e nella guida della Guida Suprema, e continuerà con forza», ha scritto Pezeshkian. «Sono fiducioso che i movimenti di resistenza nella regione non permetteranno a questo regime [Israele] di continuare le sue politiche guerrafondaie e criminali contro il popolo oppresso della Palestina e di altre nazioni nella regione».

 

 

 

Pezeshkian ha vinto le elezioni facendo campagna elettorale come “riformista”, nonostante in precedenza si fosse definito un “principista”: un termine che nel gergo della Repubblica Islamica significa qualcuno dedito ai principi della rivoluzione islamica. In effetti aveva anche criticato le repressioni del regime, aveva chiesto che venisse istituita una commissione di inchiesta sulla morte di Mahsa Amini, aveva fatto campagna proponendo di migliorare le relazioni con gli Usa e di rivedere quelle con la Russia «che non possono restare la nostra sola opzione». «Voglio essere la voce di coloro che non la hanno», ha poi promesso dopo la vittoria. E anche: «tenderemo la mano dell’amicizia a tutti. Siamo tutti gente di questo Paese, c’è bisogno di tutti per il progresso di questo Paese».

Aveva però subito precisato: «Se Dio vuole cercheremo di avere relazioni amichevoli con tutti i Paesi, tranne Israele». Che appunto Hezbollah ha iniziato ad attaccare e bombardare sin da dopo il 7 luglio. Va pure chiarito che la sua posizione sul caso Amini alla fine si riduce in un «avremmo potuto fare meglio». Chirurgo e ginecologo, 70 anni, di padre azero e madre curda, in passato anche con una candidatura presidenziale cassata nel 2021 dal Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione in quanto sgradito al regime, sia pure con un livello di astensione record Masoud Pezeshkian è stato eletto presidente dell’Iran con un voto che è chiaramente una manifestazione di scontento, ma probabilmente il regime ha concesso questa valvola di sfogo proprio perché i suoi meccanismi di controllo garantiscono che potrà fare pochissimo, come ha peraltro denunciato subito la opposizione in esilio.

In effetti, non appena eletto la Guida Suprema Ali Khamenei gli aveva lanciato subito un chiaro avvertimento. «Raccomando al presidente eletto Pezeshkian di confidare in Dio misericordioso, guardare verso orizzonti lunghi e luminosi e continuare il cammino del martire Raisi. Dovrebbe sfruttare al meglio le ampie capacità e potenzialità del Paese, in particolare risorse come giovani, rivoluzionari e fedeli, per il conforto del popolo e il progresso del Paese». Anche il fatto che siano subito arrivate le congratulazioni di Putin, Xi Jingping e Assad è piuttosto significativo.

 

 

 

Questa presa di posizione è piuttosto impegnativa, dal momento che anche l’appoggio finanziario e militare a Hamas e a Hezbollah è stato contestato durante le proteste seguite alla morte di Mahsa Amini, come spreco di risorse nazionali. Lo slogan «Né Gaza né il Libano, la mia vita per l’Iran» è stato un canto familiare durante le proteste antigovernative degli ultimi anni. Poiché Teheran ha impegnato maggiori risorse, la sua stessa situazione economica è peggiorata, portando milioni di persone nella povertà.

Il fatto, però, è che in politica estera le decisioni vengono prese direttamente dalla Guida Suprema, cui rispondono direttamente anche le Guardie Rivoluzionarie in patria e all’estero. Anche il programma nucleare è direttamente sotto il comando dell’ayatollah Khamenei, non del presidente. Insomma, Pezeshkian al massimo può fare dichiarazioni. Il precedente di Mohammad Khatami, presidente per due mandati tra 1997 e 2005, sembra indicare anzi che è una tecnica precisa del regime quella di permettere l’elezione di presidenti riformisti in momenti di crisi, proprio per dare un contentino con cariche che comunque posso fare poco.

 

 

 

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