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Emmanuel Macron, Giulio Sapelli: "Ecco perché è finito. Ma non si dimetterà"

Pietro Senaldi
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«La Francia è piena di sorprese. Non bisogna mai dimenticare che è il laboratorio politico dell’Europa e la sinistra lì ha una tradizione fortissima. D’altronde, è stata la sola nazione europea che ha avuto per anni i comunisti al governo prima del crollo del Muro di Berlino, quando all’Eliseo c’era Francois Mitterand. Questa è una riedizione di quanto avvenne quarant’anni fa. Quando si guarda a Parigi, bisogna aspettarsi qualsiasi sorpresa».

Ma come farà Emanuel Macron a dare l’incarico, e i voti della sua Renaissance a Jean-Luc Mélenchon, dopo aver detto che mai avrebbe governato con lui?
«Macron avrebbe il dovere morale di dimettersi. Ma non lo farà e alla fine governerà con la sinistra. Ma non è detto che Mélenchon sarà primo ministro. Da oggi si aprono le trattative».

 

 

Il professor Giulio Sapelli, economista e storico, la Francia la conosce bene. È stato, tra i molti altri incarichi, nelle università del mondo e nei consigli d’amministrazione delle multinazionali, direttore alla Scuola di Alti Studi di Scienze Sociali di Parigi. «Queste elezioni» sostiene, «sono una piccola rivoluzione, una sommossa passiva, realizzata con la maggioranza del popolo e senza avere ancora espresso una vera classe dirigente. Perciò nessuno può dire dove il voto di ieri porterà». Però il grande studioso non è pessimista. Vede nelle consultazioni francesi «il trionfo della politica e della democrazia parlamentare», dopo che «quel ristretto gruppo di logge e affaristi, diventato da élite formatasi sull’esperienza e l’industria classe dominante grazie al denaro e al potere accumulati con una finanza sregolata, si era inventato Macron, colto economista, per distruggere i vecchi partiti, gollisti e socialisti». Certo, le premesse sono due: la sinistra è guidata da Jean-Luc Mélenchon, un leader diventato ormai “impresentabile”, e questo è un problema da risolvere quanto prima. Quanto a Marine Le Pen «a questo punto dubito che arriverà mai al potere, tantomeno all’Eliseo. Il risultato del Ressemblement dimostra che, al dunque, non riesce a intercettare i voti dei gollisti.
Grave sconfitta anche per Eric Ciotti».

Professore, siamo a le bordel: ascoltando Mélenchon la Francia sembra ripiombata agli anni Settanta?
«La France c’est pas l’Italie, la Francia non è l’Italia. Non è un Paese de-civilizzato, come siamo diventati noi. Nonostante Macron, che ha umiliato l’esercito e soppresso l’Ena, la scuola di formazione degli alti funzionari pubblici, laggiù c’è ancora lo Stato. La sensazione a caldo, dopo il secondo voto, è quella de le bordel, ma ora verrà messo insieme un governo e si troverà un equilibrio. Nessuno ha interesse che Parigi collassi».

E che ne sarà di Macron, che i social francesi hanno già ribattezzato le bordelizateur in chief, il casinista al comando?
«Non si dimetterà. Resterà all’Eliseo per i tre anni che gli rimangono per finire il mandato, declinando ogni giorno di più, e con sempre meno comando. Ora deve stare molto accorto nelle trattative per formare il governo. Deve agire con delicatezza, non è più nelle condizioni di battere i pugni sul tavolo».

Non cercherà di governare in qualche modo lui?
«Confido nel suo senso dello Stato residuo. Ha fallito su tutta la linea, portando il Paese sull’orlo del disastro. Non gli è riuscito nulla».

La Francia però era in crisi da prima di lui...
«Macron è stato incapace di entrare in contatto con la vera Francia. È un uomo dell’Ile de France, della grande Parigi, favorita dal sistema elettorale. È importante per vincere ma non devi guardare lì quando governi».

Nessuna attenuante?
«Se si è registrata la più alta partecipazione al voto da oltre quarant’anni è perché i francesi si sono ribellati al furto di democrazia perpetrato ai loro danni dal presidente, che per ben due volte, sulle pensioni e sull’immigrazione, ha forzato i poteri che la Costituzione gli dà per approvare due leggi contro la volontà della maggioranza del Parlamento. Se lo avessero fatto un premier polacco, ungherese, tedesco o italiano, ci sarebbe stata una sollevazione delle istituzioni internazionali. Il popolo è esasperato da lui. Si è sentito, giustamente, umiliato e ha avuto una reazione democratica a questo stato d’eccezione».

Perché il Rassemblement è crollato?
«Rassemblement rappresenta il voto degli ultimi, gli ultimi bianchi, che sono sempre più ultimi. Anche la France Insoumise, la Francia Ribelle, il partito di Mélenchon, è quello degli ultimi, ma di quelli non bianchi e degli islamici. Evidentemente il voto di ieri dimostra che il francese medio ha meno paura degli islamici e dei comunisti piuttosto che dell’estrema destra, da molti giudicata ancora fascista».

L’affluenza alta ha favorito la sinistra?
«Penso di sì. E poi, psicologicamente, ha giocato a favore anche il vento arrivato da Londra, con l’affermazione dei Laburisti e la disfatta di Tories. Quel 20% in più che stavolta è andato a votare si è fatto influenzare dal pericolo dell’onda nera».

Si aspettava questo risultato così sorprendente?
«Non mi aspettavo la sconfitta della Le Pen. Nessuno lo sa, ma in Europa la categoria che registra il maggior tasso di suicidi è quella degli agricoltori francesi, soprattutto le donne, che rimangono vedove e si ammazzano per la disperazione. Loro producono vino, formaggi, paté e Macron è a favore della carne sintetica e fa la guerra agli allevamenti perché sostiene che inquinano. Evidentemente la France Insoumise ha saputo meglio incarnare la risposta al forte disagio».

Ma c’è una ricetta per governare adesso, tutti dicono di no?
«Confido nella Francia. Il governo si troverà e camminerà».

Jordan Bardella è stata una scelta sbagliata per la Le Pen...
«Sì. A mio avviso è stato il suo più grande errore. Ma si può pensare di mettere una nazione in mano a un uomo di 28 anni, a cui viene detto perfino come vestirsi, e che potrebbe indifferentemente stare da una parte come dall’altra? I francesi hanno annusato l’inganno. Senza di lui, Le Pen avrebbe ottenuto più voti. Marine rappresenta la storia tragica della Francia, ha tutt’altra caratura. Scegliendo Bardella ha fatto lo stesso errore di quello commesso da Macron, quando ha fatto primo ministro il suo amico Jacques Attal, neppure 35enne».

Ma si doveva defascistizzare...
«L’antisemitismo, la destra, la sinistra: tutto è nato in Francia e ha lì la sua massima espressione e drammaticità. La defascistizzazione è un percorso, non la scelta di un volto o di una carta d’identità. Io temo un’esplosione dell’antisemitismo in Francia».

Cosa deve fare adesso Rassemblement?
«Deve reinventarsi completamente. La destra moderata, i gollisti, ha fatto venire meno il suo supporto. Non credo che per la Le Pen ci saranno altre occasioni per arrivare al potere. Stavolta c’era andata vicina, poi in una settimana è sfumato tutto. Il sistema adesso avrà una reazione fortissima contro di lei».

Teme anche tumulti di piazza di elettori che non accetteranno il voto?
«No. Ci saranno forse manifestazioni, ma la violenza riguarderà solo casi isolati. Il Fronte della Sinistra è un cartello elettorale messo insieme per fermare Rassemblement, da domani si decomporrà. Ma anche se quel pastrocchio non avrà mai le gambe per governare, torno a dire che la Francia ha radici politiche profonde e che da lì qualcosa di nuovo arriverà».

Professore, lei dice che Mélenchon potrebbe non diventare primo ministro. Ma perché il leader della sinistra vincente dovrebbe mollare la presa senza vendere cara la pelle, non mi sembra il tipo?
«Mélenchon ha usato un linguaggio troppo violento e ha un elettorato fluido. Non è presentabile come capo del governo. Cercheranno di fargli fare un passo indietro, i francesi sono politici di alto livello e certe cose le sanno fare. Non dimentichiamo che la sinistra non ha la maggioranza per governare da sola. Mélenchon alla fine non avrà così tanti deputati. Raphaèl Glucksmann è già pronto a prendere il suo posto. E se non sarà lui, toccherà a un altro».

Questo voto condizionerà l’Unione Europea?
«Non credo. L’Europa è in fibrillazione e si sta frastagliando già di suo».

È l’ora delle destre?
«Direi che è l’ora degli Stati e delle identità nazionali. Le nazioni, sia che siano governate dalla destra sia che lo siano dalla sinistra, denotano una forte resistenza a questa Unione Europea, e io penso che sia un bene».

Perché?
«La Ue deve darsi una Costituzione e federarsi o confederarsi. Oggi è una democrazia sospesa, dove i popoli non sono difesi e rappresentati da una legge superiore e dal diritto ma governato attraverso norme tecnocratiche da una burocrazia che è la rappresentazione del dominio dei più forti».

 

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