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Starmer, anche Blair lo avvisa: sull'immigrazione non aprire a tutti

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Marco Patriccelli
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Bisogna saper perdere» era il « titolo di una canzone dei The Rokes che la sinistra italiana proprio non ne vuol sapere di cantare; bisogna saper vincere è invece lo spartito che l’idolo progressista Tony Blair suona adesso ai laburisti britannici sul tema dell'immigrazione. La clamorosa quanto annunciata vittoria elettorale di Keir Starmer, col programma poco poco ambizioso di rifondare la Gran Bretagna mattone dopo mattone, prevede lo smantellamento del muro sull’immigrazione che l’ex primo ministro Rishi Sunak voleva costruire con via obbligata verso il Ruanda, spauracchio dei progressisti anche di casa nostra. Il fuoco amico, adesso, parte da dietro l’angolo di casa, con Blair che tira le orecchie dalle colonne del Sunday Times: un conto è vincere le elezioni, un altro è pensare di risolvere i problemi con uno schiocco delle dita e con i bei princìpi. Non è una novità che Blair avesse idee sull’immigrazione non propriamente coincidenti col mainstream di sinistra, e non in sintonia con quanto pretende di fare il combattivo neoministro Yvette Cooper: fermezza per la riduzione degli arrivi irregolari ma più umanità e abbandono immediato del progetto conservatore di espellere i migranti verso il Paese africano.


Tutto troppo semplice per essere anche efficace, e infatti per Blair non può funzionare. Proprio alla fine dello scorso anno sono stati pubblicati dagli Archivi nazionali alcuni documenti risalenti al 2003 che rivelano l’elaborazione di idee-guida per un progetto volto a dissuadere gli ingressi nel Regno Unito tramite i traghetti e il tunnel sotto la Manica. L’anno prima c’erano state 84.132 richieste di asilo e il trend era in crescita, nonostante meno del 20% delle domande fossero accolte, come riportato dall’Università di Oxford. Blair chiedeva a un gruppo di lavoro di elaborare formule più radicali, da “shock di sistema”, che passava dall’allontanamento dei migranti clandestini con leggi ad hoc anche incompatibili con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, approfittando dei 2 o 3 anni per la pronuncia di Strasburgo scontatamente negativa, ma intanto il segnale sarebbe passato forte e chiaro all’esterno. Un altro progetto era simile a quello che poi Sunak ha disegnato con il Ruanda: creare rifugi sicuri in Paesi terzi per richiedenti asilo respinti, ipotizzati in Turchia e in Kenya. Poi vennero effettivamente intavolate trattative con la Tanzania per un piano off shore. La differenza sostanziale stava nel fatto che il governo conservatore aveva previsto che le domande di asilo fossero gestite dal Ruanda e non dal Regno Unito. Un altro deterrente era quello di ricalcare la normativa e l’atteggiamento del governo australiano, e la creazione di un campo sull’isola di Mull: ricorso rapido e la constatazione che chi arrivava sulle coste inglesi era già transitato da un Paese sicuro. Ma niente di quanto partorito dal brain storming è passato dalla carta alla pratica. Singolare che su questa tematica le risultanze di laburisti e conservatori siano arrivate pressoché a convergere.

 

 


L’ultimo anno dei laburisti al potere, il 2010, col dietrofront sulla politica delle porte aperte e la stretta soprattutto sull’immigrazione dai Paesi dell’Est Europa (il famoso idraulico polacco visto come un pericolo), vide il minimo di domande d’asilo fissato a 17.916, grazie a misure più severe nel controllo alle frontiere e dei visti. Da allora il trend è cresciuto e nel 2022 è tornato a sfondare quota 80.000, come ai tempi di Blair. Più volte l’ex premier è sceso in campo dal suo posto di osservatore privilegiato e con esperienza, per mettere in guardia sul dossier migranti, poiché i tempi erano cambiati e il problema andava affrontato oltre l’ideologia. La Brexit ha sparigliato le carte, anche perché proprio quello dell’immigrazione irregolare è stato uno dei temi che hanno condizionato il referendum. Adesso il ritorno dei laburisti al potere e i proclami sulle soluzioni, oltre a un déjà vu, rischia di portare dalla politica delle porte aperte a quella delle porte girevoli. Un giro di valzer come se venti anni fossero passati invano. Oltre a saper vincere bisogna saper ben governare e sull’immigrazione Blair ha atteso appena 48 ore dall’insediamento di Starmer a Downing Street per rinnovare la richiesta di carta d’identità digitale utile ad agevolare il controllo delle frontiere. Strumento che però non rientra nei piani dei laburisti. Il resto si vedrà.

 

 

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