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Joe Biden, allora in questi 4 anni chi comandava gli Usa?

Daniele Capezzone
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 Cosa c’è a margine del disastro-Biden della notte scorsa? E cosa resta oltre la scena patetica (metà cinica e metà straziante) della moglie Jill che, a catastrofe avvenuta, lo elogia per aver risposto a tutte le domande («You answered every question»), come una mamma troppo scema (o troppo furba) farebbe con il suo bimbo tonto?

In realtà, il naufragio era ormai conclamato. Anzi, era evidente a tutti sin dal primo minuto di gioco: da una parte, un Trump tonico e perfino autocontrollato (circostanza tutt’altro che frequente); dall’altra, un Biden completamente bollito, barcollante, a tratti assente, e sempre farfugliante. La fine del match per KO tecnico è stata certificata quando Trump, dopo un intervento di Biden ancora più confuso e imbarazzante degli altri, lo ha infilzato così: «Non so davvero cos’abbia detto, e penso che non lo sappia nemmeno lui».

Sta di fatto che, pochi minuti dopo il massacro, è partita – anche dal lato democratico – la pressante richiesta affinché il vecchio Joe si faccia finalmente da parte, e venga scelto un altro candidato dem. Il che è tutt’altro che scontato: Biden è il presidente uscente, ha vinto le primarie (per quanto puramente formali), e quindi dovrebbe essere lui stesso a decidere di fare un passo indietro prima della convention di metà agosto. Non solo: il partito democratico è un nido di vipere, e in questi anni è stato tenuto insieme solo perché la cinica operazione orchestrata a suo tempo da Barack Obama consisteva nell’usare il “nonno buono” (cioè Biden, agli occhi dei democratici) contro il “nonno cattivo” (cioè Trump, sempre visto da sinistra). Ma sostituire in corsa il vecchio Joe significherebbe riaprire vecchie ferite nella scelta dell’eventuale successore: insomma, non è affatto detto che l’operazione riesca, sempre ammesso che Biden compia il nobile gesto.

E qui scattano le due questioni più grosse. La prima (che fa impazzire di rabbia gli americani) è: ma allora, anche in questi quattro anni appena trascorsi, se queste erano le condizioni psicofisiche di Biden, chi è che ha davvero comandato alla Casa Bianca? La risposta la conosciamo tutti: in larga misura, il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan e il segretario di stato Antony Blinken. Ma il guaio sta proprio qui: dai cittadini era stato eletto Biden, mica loro. Mentre in Italia (e ormai si può dire: in Ue) i cittadini sono stati abituati a subire di tutto, ad accettare surroghe tecniche, ad assistere a una sempre più sistematica divaricazione tra il potere (kratos) e la sua origine popolare (demos), in America non è così. Il sistema è basato sul rapporto diretto tra elettori e presidente: e l’idea di una torsione anomala per cui l’eletto viene consegnato a “badanti” di origine più o meno tecnocratica, o comunque non dotati di alcuna legittimazione diretta, è impensabile.

 

 

 

NEGARE OGNI EVIDENZA

La seconda questione non è meno rilevante dal punto di vista del discorso pubblico: la gran parte dei media, degli opinionisti, dei commentatori – fino a poche ore fa, al di là e al di qua dell’Atlantico – aveva negato l’evidenza, e anzi ci aveva raccontato la favoletta di un Biden tonico e pimpante. Perfino dinanzi a sequenze imbarazzanti (Biden che saluta amici immaginari, che vaga nel nulla, che cerca sedie inesistenti), era sempre scattata una incredibile denial strategy, una negazione sistematica e pervicace. Tutt’al più, di tanto in tanto, si evocava la stanchezza del presidente, ma dando l’idea che – dopo un riposino – tutto sarebbe tornato a posto. A rompere questo racconto farlocco ha provveduto qualche settimana fa il conservatore Wall Street Journal, raccogliendo plurime testimonianze su un presidente assente, non in grado di ricordare né di elaborare informazioni complesse. Il dibattito televisivo di ieri ha chiuso il cerchio.

E tuttavia c’è da rimanere basiti, perché già durante la campagna elettorale di quattro anni fa i segni erano evidenti. Un Biden chiuso nel suo ufficio leggeva roboticamente i testi preparati per lui, non di rado pronunciando anche appunti o note a margine (in un caso lesse perfino la formula “the end” che indicava la fine del discorso).

Insomma, era tutto chiaro ai cittadini comuni: ma, con poche eccezioni, il sistema mediatico fiancheggiatore dei progressisti aveva ovattato e tentato di occultare il problema. Ovviamente senza riuscirci: anche perché ogni strategia basata sulla presunzione che i cittadini siano scemi è inevitabilmente destinata a fallire. Da questo punto di vista, proprio i media maggiori e filo-progressisti, da entrambi i lati dell’Atlantico, farebbero bene a interrogarsi autocriticamente, anziché proseguire imperterriti nel loro approccio sprezzante e patronizing nei confronti dei loro lettori e telespettatori.

 

 

 

Mi auguro che prima o poi li induca a una riflessione almeno questa evidenza: un pezzo sempre più grande delle nostre società non crede più a quelle fonti di informazione nemmeno se per caso dicono il vero. Dopo le balle raccontate per anni sulle crisi finanziarie, sulle banche, su Brexit, su Trump, sulla pandemia, esiste ormai un radicato pregiudizio da parte di segmenti enormi della cittadinanza nei confronti dei media percepiti come “ufficiali”. Con i suoi modi favolosamente provocatori, Elon Musk ha sintetizzato tutto in un tweet abrasivo dell’aprile 2022, riportando un sondaggio YouGov relativo alla fiducia dei cittadini verso le principali media organizations (erano incluse nella rilevazione le maggiori tv: Cbs, Abc, Nbc, Fox;i maggiori giornali: Washington Post, New York Times e cosi via). E chi è risultato al primo posto (e con largo distacco su tutti gli altri) in termini di affidabilità? Tenetevi forte: The Weather Channel, cioè il canale delle previsioni meteo. Più chiaro di cosi ...

Ps: Una nota umana. Fate un gioco su YouTube, e recuperate il dibattito del 2012 tra i due candidati vicepresidenti Usa. Da una parte c’era il giovane ed efficace repubblicano Paul Ryan (in quel momento 42enne), dall’altra il già allora assai stagionato Joe Biden (in quel momento 70enne). Al di là del merito degli argomenti (eccellenti, a mio avviso, quelli di Ryan, assai discutibili quelli di Biden), il vecchio Joe combatté con vigore e fece un autentico figurone. Ma era un’altra persona, in ogni senso. Vale ciò che scrisse una volta, tragicamente, il grande Philip Roth: «La vecchiaia non è una battaglia: è un massacro». 

 

 

 

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