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Generale Petraeus, il libro: la guerra Usa in Europa non contempla la Ue

Daniele Dell'Orco
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Gli ultimi anni ci sono apparsi come una violenta resurrezione della Storia: le immagini della tragica invasione dell’Ucraina, insieme alle macerie di Gaza, hanno rievocato gli spettri di un’umanità bellicosa che credevamo ormai appartenere al passato. La guerra in sé per sé, in realtà, non era mai scomparsa, si era solo trasformata. La Guerra Fredda, con la minaccia di un annientamento nucleare, ha fatto sparire a lungo dal tavolo l’opzione di un conflitto su scala globale, sostituendola con uno stillicidio di piccoli e medi confronti dislocati in aree di interesse economico o geopolitico, dove le strategie e le tecniche militari hanno potuto mettersi in discussione, rinnovarsi e a volte reinventarsi.

L'invasione dell’Ucraina, la cosa attualmente più simile a una guerra totale tra Washington e Mosca mai vista dai tempi del Vietnam, è in questo senso un Paese dei balocchi per testare nuove tecniche militari, nuovi armamenti, nuovi strumenti di info-war. Per questo il generale David Petraeus, ex direttore della Cia e comandante delle forze statunitensi in Iraq e Afghanistan, grande innovatore in questo senso trovandosi di continuo nella necessità di operare su territori ostili in condizioni di guerriglia e mescolanza fra truppe regolari e terroristi, civili e bande armate, dedica al conflitto ucraino un bel pezzo della sua opera mastodontica L’arte della guerra contemporanea (Edizioni Utet, 656 pp., 34 euro).

Nel colloquio col pluripremiato storico Andrew Roberts, con il proposito ambizioso di tracciare la parabola evolutiva militare dalla guerra di Corea a quella del Vietnam, dalle due guerre del Golfo a quelle nell’ex Jugoslavia, dall’Afghanistan fino ai conflitti in corso, Petraeus riflette sulla natura tecnica dei diversi scontri, su quali siano gli elementi determinanti per il successo e quali gli errori più reiterati, sulle conseguenze di ogni conflitto e su quanto, ancora, dobbiamo imparare dalla Storia. Di grande interesse, oltre alla riflessione su come fronteggiare la guerriglia, o guerra insurrezionale, schema bellico più che mai attuale seppur già visto nel corso dei secoli (si pensi alle operazioni delle forze americane nel Borneo, alla vittoria dei Viet Minh sulla Francia in Indocina, all’Algeria caso da manuale su come non combattere una campagna insurrezionale, alla ribellione del Dhofar), Petraeus sposta il suo sguardo verso il futuro, fatto di conflitti già in atto in forma ibrida che potranno deflagrare del tutto, o guerre che, visti i sommovimenti geopolitici, non potranno non esplodere.

Perché la guerra, ricorda Petraeus, è spesso inevitabile. Il volume cita lo scenario taiwanese, in generale l’Indopacifico, il Medio Oriente, e ripercorre lungamente i piani di Vladimir Putin saltati in Ucraina: «Il presidente russo sperava che la sua invasione sarebbe stata rapida, travolgente, un attacco lampo delle forze speciali, dell’esercito regolare e di agenti della quinta colonna contro quella che sembrava un governo ucraino debole e con forze armate mal equipaggiate. L’attacco - scrivono gli autori- sarebbe stato sostenuto da minacce nucleari per scoraggiare un intervento occidentale. Un anno dopo l’invasione, il Royal United Services Institute ha pubblicato uno studio in cui si conclude che la Russia aveva pianificato di invadere l’Ucraina in dieci giorni, per poi occupare il Paese e consentirne la piena annessione entro l’agosto 2022. Ma come accaduto molto spesso in passato, Putin non aveva capito quanto si fosse evoluta la guerra dai tempi dei blitzkrieg e come negli ultimi anni il vantaggio fosse passato decisamente ai difensori rispetto agli attaccanti». 

E qui la sottolineatura del ruolo di Volodymyr Zelensky come di «un leader strategico», certamente a sua volta innalzato al ruolo di «arma» dal punto di vista politico-comunicativo con pochi precedenti nella storia della guerra. Ma ciò che colpisce nel ragionamento di Petraeus è che l’Ucraina, che è in Europa, viene percepita come una faglia tra due mondi senza che l’Europa venga nemmeno menzionata. Cioè, il fatto che rispetto allo scorso secolo ora ci sia un soggetto politico in più, e al limite, molti lo dimenticano, anche soggetto militare, ossia l’Unione europea, nel libro di Petraeus viene totalmente ignorato. L’Europa è citata solo due volte, en passant, per ribadire il supporto degli Stati Uniti come “nazione indispensabile”, e del loro più stretto alleato strategico del Vecchio Continente: la Gran Bretagna. Che dalla Ue ha persino scelto di fare le valigie.

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