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Marion, la nipote di Marine Le Pen: "Il voto spazzerà via Macron"

Mauro Zanon
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Marion Maréchal, 34 anni, nipote di Marine Le Pen, era stata appena eletta all’Europarlamento nelle file di Reconquête, che Éric Zemmour, presidente e fondatore del partito, ha deciso di cacciarla per aver osato negoziare un’alleanza col Rassemblement national alle imminenti legislative. Marion nella formazione guidata dalla zia è cresciuta ed è rimasta fino al 2017.

Rispetto a Marine, grande tattica ed esponente di una destra sociale, la Maréchal è più liberista in economia e più conservatrice sui temi etici. È anche la pupilla di Jean-Marie, il patriarca ormai novantacinquenne. A Libero Marion spiega le ragioni della rottura con Zemmour, che l’ha accusata di tradimento.

 

 

 

«Nel 2022 ho deciso di tornare in politica sostenendo Éric Zemmour con l’obiettivo di costruire una forza politica di destra conservatrice complementare al Rassemblement national (Rn) per sostituire i Repubblicani (Lr), sempre più appiattiti sul presidente Macron, e favorire la nascita di una coalizione in grado di portare la destra alla vittoria. L’obiettivo, inizialmente sposato da Zemmour, è sparito dall’agenda di Reconquête che invece si è orientato sempre di più verso una lotta contro Rn. Ciò ha creato una divergenza politica sempre più marcata tra me e Éric, scoppiata durante la campagna elettorale europea».
La dissoluzione dell’Assemblea nazionale decisa da Macron fa precipitare tutto. 
«Ho subito cercato di negoziare con Marine Le Pen e Jordan Bardella un accordo di coalizione ma loro hanno rifiutato ritenendo Zemmour non affidabile politicamente. Nel frattempo Zemmour, tenendo all’oscuro la sottoscritta e gli altri due vicepresidenti del partito, stava già preparando le liste di candidati Reconquête da presentare in contrapposizione a quelli di Rn, scelta politica scellerata che non potevo assolutamente appoggiare».
Perché? 
«Per danneggiare Marine Le Pen rischia di mandare l’estrema sinistra al governo in Francia. Così ho deciso di prendere le distanze chiedendo a Zemmour di non presentare candidati di divisione e dichiarando il mio sostegno ai candidati della coalizione di destra. Una posizione condivisa anche dagli altri due vicepresidenti, dalla quasi totalità dei nostri eletti al Parlamento europeo e al Senato, e da gran parte dei dirigenti. Speravo che ciò riportasse Éric alla ragione: sta invece proseguendo imperterrito per la sua strada, presentando candidati Reconquête contro quelli di Rn e Lr. Ha trasformato un partito che doveva favorire l’unione delle destre in un partito che ne favorisce la divisione. Non credo di essere stata io a tradire il progetto».

 

 


Rientrerà nel Rassemblement? 
«No. Ora la priorità è fare tutto il possibile per togliere il governo della Francia dalle mani di Macron e impedire che finisca nelle mani di Mélenchon e compagni. Poi, l’8 luglio, in base ai risultati delle urne deciderò i prossimi passi da compiere. Quel che è certo è che intendo lavorare per far sì che questa coalizione trovi finalmente compimento, perché è da sempre il mio obiettivo politico. Ed è per questo che mi ha votato un milione e mezzo di elettori alle europee».
Che scenario si aspetta dal voto del 30 giugno e 7 luglio? 
«Tutti i sondaggiprospettano in quasi tutti i collegi una sfida tra la destra e la coalizione dell’estrema sinistra, con il partito di Macron tagliato fuori. Ciò ci dà un’alta probabilità di vittoria perché sono convinta che al secondo turno anche buona parte degli elettori macronisti preferirà noi a Mélenchon, e se così fosse per la prima volta nella storia una coalizione di destra si troverebbe ad avere la maggioranza assoluta in Parlamento e dunque ad andare al governo. Se ciò non avvenisse, il solo altro scenario possibile è un Parlamento paralizzato, perché in ogni caso la coalizione di destra sarà imprescindibile. Questo scenario potrebbe portare nel giro di poco tempo Macron alle dimissioni e dunque a nuove elezioni presidenziali».
Lei è stata una delle prime a parlare, di “unione delle destre”, cosa manca per realizzarla? 
«Il modello di coalizione delle destre italiano è un esempio vincente che dobbiamo importare in Francia e anche in Europa. L’ideale sarebbe stato avere una coalizione strutturale tra Rassemblement national, Reconquête, Repubblicani e le altre sigle minori dell’area della destra. Ma la strategia di Zemmour e la mancanza di coraggio dell’establishment gollista hanno reso per il momento impossibile questo sogno, non ascoltando il messaggio che arriva dai nostri elettorati».

 

 


Come giudica l’iniziativa di Éric Ciotti? 
«Sono contenta che abbia avuto il coraggio di fare questa scelta e mi dispiace soltanto che la maggior parte dei suoi dirigenti si sia rifiutata di seguirlo, non capendo l’importanza della fase storica che stiamo vivendo. Presentando dei loro candidati anti-coalizione commettono lo stesso errore di Zemmour e aumentano le possibilità di vittoria della sinistra. Per fortuna gli elettori questa cosa la stanno capendo e infatti le proiezioni dicono che i vecchi Repubblicani rischiano di sparire».
È favorevole a un supergruppo di conservatori e sovranisti in Europa? 
«Personalmente non sono contraria ma capisco che ogni partito abbia esigenze diverse a seconda degli equilibri e degli interessi del proprio Paese e anche a seconda del fatto che si trovi all’opposizione o al governo della propria Nazione».
Quali sono i punti su cui c’è ancora distanza con Marine Le Pen e Jordan Bardella? 
«Con il Rassemblement national ho ovviamente molti punti di convergenza ma anche diversi punti di divergenza, ad esempio su alcune questioni economiche e sui temi etici. D’altronde se non ci fossero non avrei lasciato quel partito».
Macron al G7 ha attaccato Giorgia Meloni perché nella bozza manca la parola “aborto”. 
«Quello di Macron è un tentativo di utilizzare un tema delicato come strumento per creare divisioni e istigare altri Paesi contro l’Italia. Un gioco pericoloso in una fase nella quale invece dovremmo spingere alla compattezza e alla cooperazione tra le nostre Nazioni che dimostra tutta la spregiudicatezza e l’irresponsabilità del presidente».

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