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Legge russa, così il sogno georgiano è diventato un incubo

Marco Patricelli
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“Sogno Georgiano” stavolta ha materializzato un incubo per i georgiani. Già a ottobre il principale partito di governo aveva provato a far passare una legge contro l’influenza degli “agenti stranieri”, ma poi le virulente manifestazioni di piazza avevano consigliato di soprassedere, in attesa di un momento migliore. Che è arrivato ieri, e stavolta nonostante mobilitazioni e proteste.

La prova di forza della maggioranza di governo ha portato il parlamento di Tbilisi ad approvare il dettato normativo in terza e ultima lettura, con 84 voti contro 30. È la democrazia in salsa caucasica, ma non è affatto una bellezza. La strada costituzionale porta adesso al possibile veto da parte del presidente della Repubblica Salome Zourabichvili, che il parlamento può però annullare tramite un’altra votazione.

Il clima nella capitale, tesissimo, ha visto durante i lavori parlamentari migliaia di persone manifestare davanti alla sede, con lo sfondamento delle transenne e il susseguente sgombero della polizia in tenuta antisommossa che da quelle parti non fa troppi complimenti e che ha sparato con cannoni ad acqua per disperdere la folla. All’interno non sono mancati contrasti accesi e spintoni tra politici di opposti schieramenti, quando fuori già erano stati operati alcuni arresti.

La legge che ha dato fuoco alle polveri del mai tranquillo Caucaso non a caso è stata ribattezzata “legge russa” perché ne ricalcherebbe una in vigore a Mosca: prevede che le organizzazioni non governative e i mezzi di informazione indipendenti che ricevono più del 20% dei finanziamenti da donatori stranieri, per motivi di trasparenza dovranno registrarsi su un database come portatori di “interessi di una potenza straniera”. Il controllo sarebbe esercitato dal Ministero della giustizia, che avrebbe il potere di accesso su informazioni sensibili. In Russia funziona così, alla periferia dell’ex impero sovietico dovrebbe andare allo stesso modo, con un giro di vite sul dissenso con i crismi della legalità.

“Sogno Georgiano” è stato fondato dall’uomo più ricco del Paese, Bidzina Ivanishvili, già primo ministro per poco più di un anno nel 2012-2013. Le resistenze alla legge sono spiegate dal miliardario come il tentativo di destabilizzare la Georgia e di metterla contro la Russia con manifestazioni e disordini che sarebbero rivoluzioni strumentali come fu quella in Ucraina, di cui viene agitato lo spettro. Per l’opposizione il provvedimento normativo è frutto invece degli interessi economici degli oligarchi locali dai forti rapporti con il Cremlino; per i meno moderati, dietro a tutto questo ci sarebbe Vladimir Putin, artefice del tentativo di ricollocare la Georgia nella sfera di influenza russa e raffreddarne gli ardori di ingresso nell’Unione Europea, che una schiacciante maggioranza della popolazione vedrebbe invece con favore. E proprio l’Ue a caldo ha ritenuto che la spinta all’approvazione della “legge russa” rende molto più accidentata la già non lineare strada che porta a Bruxelles, mentre la presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola, meno diplomaticamente, ha sposato da subito la causa del popolo georgiano.

La crisi georgiana inserisce un ulteriore elemento di crisi in un momento storico in cui la politica internazionale è alle prese con la recrudescenza della guerra sul fronte russo-ucraino e con la volatilità diplomatica sul fronte israelo-palestinese. La Georgia ha sentito sulla sua pelle il morso dell’orso russo nell’agosto 2008, quando in cinque giorni venne sbaragliata militarmente e annichilita nel tentativo di riprendere il controllo della regione separatista dell’Ossezia del Sud, vetrino d’incubazione dell’Operazione militare speciale contro Kiev. È il metodo del Cremlino a guida putiniana, conosciuto talmente bene da aver consigliato a Tbilisi di sposare una linea molto morbida e di compromesso, evitando di esporsi sulle sanzioni alla Russia e limitandosi a una solidarietà neutra all’Ucraina, nonostante le bandiere gialloblù che hanno colorato anche le manifestazioni di piazza condite da slogan antirussi.

Questo in un quadro economico-sociale precario, per l’incremento della povertà, della disoccupazione e della ricerca di lavoro all’estero, cui l’Europa dovrebbe fornire soluzioni a partire dall’emigrazione legale, e che comunque rappresenta un preciso punto di riferimento storico-culturale per la simultanea presa di distanze dall’arcipelago asiatico dell’esperienza sovietica.

Nonostante i rapporti obbligati e consolidati con Mosca, da cui si è staccata nel 1991 ma che con l’avvento di Putin ha continuato a guardarla come un satellite da tenere sotto tutela, la Georgia ha sposato una linea neoliberista, con riforme economiche continue ma senza riuscire a creare un modello di benessere diffuso come antidoto alle diseguaglianze, e ha guardato con simpatia agli Stati Uniti dai quali si attendeva una maggior considerazione che doveva tradursi in maggiori aiuti e un concreto appoggio. Il vero “Sogno Georgiano”

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