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Nuova Caledonia, bianchi contro neri: la rivolta fa crollare l'impero francese

Matteo Legnani
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Auto bruciate, baracche date alle fiamme, dense colonne di fumo che si alzavano al cielo. Ieri mattina si è svegliata così Noumea, la capitale della Nuova Caledonia, Territorio d'Oltremare della Repubblica Francese nel Pacifico. Gli scontri, concentrati soprattutto nella Capitale, erano iniziati nella giornata di lunedì, alla vigilia di un voto previsto per la giornata di ieri che avrebbe aumentato il numero di cittadini francesi (bianchi, ma non solo) ammessi alle elezioni politiche nel Territorio d'Oltremare. A scontrarsi con la polizia sono stati centinaia di dimostranti Kanak, l’etnia indigena che da centinaia di anni vive in questo arcipelago che si trova, grosso modo, tra Australia e Nuova Zelanda. Decine di agenti di polizia sono rimasti feriti nelle sommosse, circa quaranta persone sono state arrestate ed è stato imposto un coprifuoco notturno nella Capitale. L'aeroporto internazionale è rimasto chiuso al traffico lunedì e ieri e anche alcuni consolati hanno serrato i battenti, mentre si è scatenato il saccheggio nei supermarket e nelle attività commerciali.


A scatenare i disordini è stata una proposta di emendamento alla Costituzione della Nuova Caledonia che il Parlamento francese a Parigi avrebbe dovuto votare ieri, “scongelando” il numero di cittadini francesi ammessi alle elezioni del Territorio, che era rimasto inalterato dal 1998. L'emendamento prevede che tutti i cittadini francesi residenti in Nuova Caledonia da almeno dieci anni possano votare, portandone il numero da 20 a 25mila (su un totale di circa 270mila abitanti). Una mossa che gli indigeni hanno interpretato come un modo per affossare le ambizioni indipendentiste della Nuova Caledonia, che sono emerse negli anni Ottanta e hanno, in passato, già causato scontri e sommosse. La stretta di Parigi si sarebbe accresciuta dal 2017, con l’inizio dell’era Macron, anche se va pur detto che dal 2018 ben tre referendum sull’indipendenza sono stati indetti e sono tutti falliti. 

 

 


Ma di questo gli attivisti indigeni pro-indipendenza accusano il governo centrale: nel 2021 avevano infatti chiesto a Parigi che il referendum fosse posticipato, perché troppo a ridosso del picco di epidemia di Covid, al punto da non consentire, a detta degli indipendentisti, una campagna elettorale efficace. Macron, da parte sua, considera la Nuova Caledonia (che ha importantissimi giacimenti di nickel) come anche altri Territori francesi nel Pacifico, come una sorta di “barriera” contro l’avanzata dei cinesi in Oceania. E ritiene che, se lasciati all’indipendenza, quei territori finirebbero presto nelle fauci di Pechino, imbattibile nel conquistare Paesi e intere regioni a colpi di yuan, prestati, quando non regalati, in cambio di fedeltà. Tuttavia, i suoi metodi paiono ben lungi dal produrre i risultati auspicati. Di fatto, la Francia sta perdendo o ha già perso l’influenza che per decenni, anche dopo il riconoscimento dell’indipendenza, ha avuto sui tanti Paesi africani che un tempo facevano parte del suo impero. A tutto vantaggio di Russia e Cina, che di fatto controllano economicamente e, nel caso della Russia, anche militarmente alcuni di quegli Stati. Ultimo il Niger, che giusto qualche giorno fa ha accolto un contingente dell’esercito di Mosca in una sua base aerea.

 

 

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