Vladimir Putin, il patto con i pirati nel Mar Rosso
Cina e Russia hanno stretto un patto con gli Houthi per garantirsi il passaggio sicuro dei loro mercantili fino al canale di Suez. In cambio il gruppo terrorista sciita che sta incendiando il tratto di mare tra il Golfo di Aden e il Mar Rosso ha ottenuto un non meglio precisato “sostegno politico”. Secondo Bloomberg il patto segreto è stato siglato nel vicino Oman. Non è chiaro che cosa sperano di ottenere gli Houthi, forse il blocco delle risoluzioni Onu che li riguardano (come già successo), ma tale alleanza rende ancora più netta la divisione tra i due blocchi mondiali, quello occidentale da una parte e dall’altra quello formato principalmente da Russia e Cina, con l’adesione attiva di nazioni canaglia quali l’Iran e vari gruppi terroristici.
DIVISIONE - All’inizio di quest'anno una delegazione Houthi aveva già visitato Mosca formalmente per chiedere che Vladimir Putin facesse pressione su Israele perché fermasse i bombardamenti nella Striscia, ma molto probabilmente nell’occasione si è discusso anche degli attacchi ai mercantili e del loro scopo. A febbraio, Russia e Cina avevano criticato le operazioni militari statunitensi e britanniche contro gli Houthi, sostenendo che il Consiglio di sicurezza delle Onu non le aveva autorizzate.
Mentre la scorsa settimana Ali al-Quahoum, membro dell'ufficio politico degli Houthi, aveva già annunciato una «un’evoluzione nello sviluppo delle relazioni internazionali con Russia, Cina e i Paesi BRICS».
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Sul punto della guerra a Gaza continua nel frattempo il pressing degli Stati Uniti per una soluzione che preveda il cessate il fuoco da parte di Israele e il rilascio degli ostaggi da parte di Hamas. La bozza messa a punto da Washington potrebbe essere presentata oggi stesso al Palazzo di Vetro per essere votata entro questa settimana o la prossima. Il testo afferma che «il Consiglio di Sicurezza determina l'imperativo di un cessate il fuoco immediato e prolungato per proteggere i civili di tutte le parti, consentire la consegna di assistenza umanitaria essenziale e alleviare la sofferenza umanitaria». E «verso tale obiettivo sostiene inequivocabilmente gli sforzi diplomatici internazionali in corso per garantire tale cessate il fuoco in connessione con il rilascio di tutti gli ostaggi rimanenti».
È la prima volta che l'America di Joe Biden si spinge così in là, utilizzando termini prima obiettati in altre risoluzioni (quella dell’Algeria) come «immediato» e «prolungato». Per essere approvata la risoluzione avrà comunque bisogno di almeno nove voti e nessun veto da parte degli altri quattro membri permanenti, Francia, Gran Bretagna, Russia e Cina. Il punto di vista di Washington è stato ribadito anche dal segretario di Stato Usa Antony Blinken che ieri ha incontrato al Cairo il presidente egiziano Al Sisi. I due si sarebbero trovati d’accordo su tutta la linea, dal cessate fuoco all’afflusso degli aiuti, fino al rilascio degli ostaggi. Al Sisi ha sottolineato anche «la necessità di aprire gli orizzonti del percorso politico attraverso un intenso lavoro per attivare la soluzione dei due Stati e creare uno Stato palestinese indipendente su i confini del 1967 con Gerusalemme Est come capitale».
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TRATTATIVE - Di tregua “prolungata” alle condizioni attuali tuttavia Israele non vuole sentir parlare. Secondo Haaretz le trattative con Hamas per una tregua al massimo “temporanea” si sarebbero adesso arenate su due punti in particolare, il ritorno degli sfollati nel nord della Striscia e il meccanismo di distribuzione degli aiuti umanitari a Gaza. Israele si è messa di traverso sul primo punto, mentre Hamas vuole anche che sia l'Unrwa a occuparsi della distribuzione degli aiuti, cosa che Gerusalemme esclude a priori, accusando l’agenzia affiliata all’Onu di essere coinvolta a più livelli nell’attività di Hamas. Secondo le stesse fonti arabe ci sono invece progressi sui temi legati al rilascio degli ostaggi e a una tregua. In proposito oggi è previsto l’incontro a Doha del capo del Mossad, David Barnea, con il direttore della Cia, William Burns, il primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, e il capo dell’intelligence egiziana, Abbas Kamel.