Ramadan, un mese di digiuno e la vita al contrario: i miei due anni in Arabia Saudita
Una giornata frullata, in cui le ore sembrano mescolate con il Minipimer. Già vivere in un Paese teocratico come l’Arabia Saudita per un occidentale è un’esperienza particolare, che non c’entra nulla con Dubai o altri luoghi diventati turistici; se poi ci immergiamo nel mese sacro del Ramadan si fatica a distinguere il giorno dalla notte. Ogni mezz’ora ti guardi e dici: «Ma davvero?».
Il dentista piazzato alle 11 di sera, le riunioni di lavoro a mezzanotte, la ceretta alle gambe dopo cena, il divieto di bere per strada, per non dire mangiare, tutto chiuso di giorno e aperto di notte, anche i negozi di giocattoli. Questo è il Ramadan vissuto nel paese più legato al mondo ai precetti musulmani, l’Arabia Saudita, se non altro perché ci troviamo a Jeddah, la città a un’ora dalla Mecca, da cui arrivano i fedeli da tutto il mondo via terra, via mare e via aerea. Il digiuno dei musulmani (da cui sono esentati bambini, malati e donne incinte) cambia la vita anche di chi musulmano non è.
Ve lo assicura chi ci ha vissuto per due anni. Impossibile trovare un posto dove bere un caffè. Bar e ristoranti sono chiusi fino all’ora del tramonto, le superstrade cittadine sono deserte, una specie di Milano d’agosto, la passeggiata lungo mare detta Corniche è “no man’s land”, anche per il caldo che a marzo inizia a essere soffocante. Non è rispettoso farsi vedere per strada con una bottiglia d’acqua, figuriamoci con un panino: quindi non si fa. Per trenta giorni è così, preghiera, meditazione, autodisciplina come vuole il Corano. Il Ramadan è un evento mondiale per due miliardi di musulmani, ha date differenti di inizio e fine stabiliti dalla luna crescente, ma qui è ovviamente più sentito.
I sauditi o gli altri cittadini arabi (egiziani, libanesi, turchi, palestinesi) che lavorano sono provati anche perché è bandita anche l’acqua, rallentano i ritmi, per poi fiondarsi a casa per le sette circa quando è il momento di rompere il digiuno per l’iftar, il pasto serale abbondantissimo preparato dalle donne di casa: prima un dattero locale (delizioso, non come quelli algerini o marocchini), poi un saudi coffee, e via con riso, pollo, fritti vari e tutti i piatti speziatissimi che arrivano dalla cucina libanese, marocchina o yemenita. Anche i ristoranti organizzano banchetti stile happy hour milanese che aprono le danze un secondo dopo che la televisione sintonizzata sulla Mecca annuncia la fine del digiuno: grandi tavolate con vassoi di carne, verdure, riso, hummus, babaganoush (una salsa a base di melanzane), pane arabo, pesce.
Uffici e studi che di giorno si sono semi-fermati recuperano la sera: ti fissano dunque appuntamenti dal medico alle 8, alle 9, anche a mezzanotte, i meeting di lavoro vengono piazzati di notte, cose così, anche se sei un expat arrivato dagli Usa e dall’Europa e non sei musulmano. Sei in un Paese islamico e ti adatti alle regole del luogo.
Tanto di giorno regna la calma piatta e il deserto non solo nel senso di sabbia, tanto all’orario dell’aperitivo esplode la vita, come se per trenta giorni tutte le sere fosse la vigilia di Natale. Una movida no stop fino all’alba, ma tassativamente senza alcol perché nonostante la modernizzazione avviata dal principe Mohammed bin Salman con il progetto economico-finanziario Vision 2030, vino e simili sono vietatissimi, come la carne di maiale, impossibili da trovare in ogni angolo del Regno. La notte leoni, e la mattina...
Chiaramente il giorno dopo sono tutti zombie, lo vedi al supermercato che è uno dei pochi esercizi che non modifica gli orari di apertura. Le cassiere hanno le palpebre che cadono, gli addetti al banco faticano a distinguere una triglia dalla carta igienica, e il motivo lo sai. Alcuni hanno chiari segni del cuscino sulle guance. Le scuole, in tutto questo, sono per la maggior parte aperte, al massimo permettono di portare i bambini un’ora dopo rispetto all’orario consueto, anche perché i piccoli non sono tenuti a osservare il digiuno; dunque stupisce che vicino a Milano un istituto abbia chiuso i battenti per il mese sacro. Le vacanze, quelle sì, per scuole e uffici sauditi partono appena termina il Ramadan. Sono le festività più importanti del regno. Capiamo perché.