Marine Le Pen, la svolta: "Ucraina eroica"
Nel segno di madame Giorgia Meloni. Anche la Francia è in campagna elettorale. Le quotazioni del Rassemblement National, la destra di Marine Le Pen, sono in rialzo. I sondaggi prevedono che la signora arriverà intorno al 30% alle Europee di giugno, con Emmanuel Macron non più in marcia da tempo, anzi ben distaccato, tra il 18 e il 20%.
A differenza del padre, Jean-Marie, lei, malgrado sia stata sconfitta per due volte consecutive al ballottaggio per l’Eliseo, nel 2017 e nel 2022, vuole diventare veramente presidente ed è determinata a riprovarci nel 2027, approfittando della crisi di En Marche e di tutti i vecchi schieramenti politici del Paese. Quindi si sta preparando e riposizionando, prendendo ispirazione anche dal percorso della premier italiana. A differenza della Meloni, o forse no vista l’attuale linea politica della Lega, Le Pen ha un partito consistente alla sua destra, Reconquete, fondato dal giornalista e intellettuale Eric Zemmour e dove milita come numero due sua nipote, Marion Marechal, che si è staccata dalla zia nel 2017. Questo, se nelle urne le drena voti, all’incirca il 7%, nella corsa per l’Eliseo le dà un vantaggio, perché la spinge naturalmente più al centro, liberandola dalle accuse di neofascismo contro le quali si è sempre infranta la corsa del padre.
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IL CROLLO GOLLISTA - Ed è proprio lì, al centro(destra), dove vuole arrivare madame Marine, per coprire il vuoto lasciato dal crollo dei gollisti, affossati da Nicolas Sarkozy, un anno e sei mesi di carcere con la condizionale per finanziamenti illeciti, e ai quali ha dato il colpo di grazia Francois Fillon, la cui parabola si è conclusa con la condanna a cinque anni di carcere per frode e abuso di fondi, scontati a tre. È un progetto ambizioso ma non irrealizzabile, avvantaggiato dal fatto, oltre di avere un partito a destra del proprio schieramento, di non averne nessuno a sinistra, visto che in Francia Forza Italia non c’è e che Macron ormai per gli elettori transalpini è di sinistra, ancora più che da noi Renzi e Calenda.
Per essere la nuova De Gaulle, oltre che i voti, alla Le Pen serve un accreditamento internazionale, che non può che partire dall’Unione Europea. Attualmente, il suo Rassemlement è nella lista “nera” dei partiti che non possono entrare a far parte della nuova maggioranza, come i tedeschi di Afd (Alternative fur Deutschland), che siedono con lei e con Salvini nel gruppo Identità e Democrazia, a Bruxelles.
La situazione però non è affatto detto che sia definitiva, specie se della nuova maggioranza europea farà parte anche Fratelli d’Italia, che è attualmente alleato di Zemmour in Europa dentro Ecr, il partito conservatore fondato nel 2009 dall’allora premier inglese David Cameron, più a destra di Marine.
La Le Pen conta che, dopo il voto di giugno le carte si rimescolino, l’opzione di una conferma di Ursula von der Layen alla presidenza dell’Ue tramonti e lei, leader per distacco del più importante partito francese, sia ammessa nella stanza dei bottoni. A quel punto, e dopo tre anni al governo della Ue, cadrebbero presso la maggioranza dell’elettorato transalpino quelle perplessità e quei sospetti di estremismo che sinora la leader del fu Front National non è mai riuscita a superare.
L’obiettivo, naturalmente, non può che passare dalla disfatta di Macron a giugno. Per dire il vero, il presidente ce la sta mettendo tutta perché ciò avvenga. La Francia è al collasso. Vive ormai da lustri una crisi sociale, culturale, politica, economica, istituzionale, finanche etnica, alla quale nessuno riesce a trovare risposta.
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Il livello di tolleranza dei francesi verso gli immigrati è al minimo storico. Il peso internazionale del Paese pure. Stato sociale e privilegi dei contribuenti, a partire dall’innalzamento dell’età pensionabile, imposto in Parlamento con una forzatura della legge, vengono smantellati ormai neppure troppo blandamente. Gli agricoltori sono in uno stato di agitazione permanente. Per provare a tenere insieme la baracca, ma soprattutto a rimanere a galla, Macron punta sul cosiddetto spirito di bandiera, l’orgoglio patrio.
Punta tutto sulla guerra in Ucraina e sull’espansionismo russo come pericolo vitale per la Francia. Crea, o quantomeno enfatizza, il nemico fuori per nascondere i problemi interni. È arrivato a parlare di necessità di intervenire con la Nato a Kiev; una posizione non gradita alla maggioranza dei francesi, ma il presidente punta sull’effetto terrorizzante della minaccia putiniana, sul quale ha puntato anche nel discorso di ieri sera, pur non spingendo troppo sull’invio di truppe francesi in Ucraina, forse indotto dai sondaggi a sollevare il piede dall’acceleratore sul punto.
IL FRONTE ESTERO - È sulle contraddizioni e le debolezze del presidente che Le Pen sta giocando. Nell’ultimo, infuocato, discorso all’assemblea nazionale, ha preso a schiaffi l’imberbe primo ministro di Macron, Gabriel Attal, noto per ora principalmente per aver nominato ministro degli Esteri il suo ex (o attuale?) fidanzato, Stéphane Sèjourné, giusto perché la guerra è alle porte e servono collaboratori fidati. Dopo essersi schierata a fianco «dell’eroica resistenza del popolo ucraino che sta facendo fallire la Russia» e aver condannato senza remore Putin, si è opposta in ogni modo a un intervento militare della Nato o dell’esercito francese, giudicandolo il probabile detonatore di un nuovo conflitto mondiale. È una posizione che la avvicina alla Ue, all’Italia, ma soprattutto a Washington, sia che alle presidenziali di novembre vinca Biden, sia che la spunti Trump, con la quale Le Pen partirebbe avvantaggiata rispetto a tutti in Europa. E anche questo andrebbe bene per diventare neo-gollista.».