Javier Milei, voglia di liberalismo: così aggiorna le idee della Thatcher
Se qualcuno avesse avuto ancora qualche dubbio sulle reali intenzioni di Javier Milei, il discorso fatto a Davos lo avrà sicuramente convinto dissipando ogni perplessità. Il neo presidente argentino si è presentato ai membri dell’élite tecnocratica e finanziaria del mondo come il Pierino che rompe le uova nel paniere: nella fattispecie, quel noioso conformismo che domina in consessi ove tutti sembrano parlare la stessa lingua fatta di idee preconfezionate e buoni sentimenti un tanto al chilo.
D’altronde, non è l’anticonformismo la cifra prima del liberale? Anche le reazioni sono parse scontate. Qualche giornale italiano ha sottolineato il fatto che il leader argentino si sia confermato trash, che è un po’ il leitmotiv con cui la sinistra calca sugli aspetti fisici e sui comportamenti degli avversari, ritenuti non conformi, per non confrontarsi con le idee scomode. Idee che Milei ha presentato con logica coerente e incisiva, articolando un discorso organico e strutturato. Sarebbe però un errore pensare che egli abbia parlato solo alla sinistra, dicendo cose che un po’ tutti a destra dicono (o almeno pensano, quando non hanno il coraggio di dirle). Egli ha parlato anche alla nostra parte politica. E persino ai liberali, quelli almeno che si ritengono e definiscono tali pur strizzando di continuo gli occhi agli idòla fori del momento. Intanto, il primo elemento che va sottolineato è che Milei non si è limitato affatto, come pure si è letto, a riproporre semplicemente le vecchie ricette thatcheriane, o libertariane se si preferisce, peccando in questo caso di scarsa originalità.
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La vera e grande novità del suo discorso, che non avrebbe dovuto passare inosservata, è che egli ha aggiornato il thatcherismo, cioè lo ha adeguato ad un’epoca come la nostra in cui il socialismo (qui inteso nell’accezione hayekiana) da sistema di dominio economico si è trasformato in un sistema di dominio anche o prima di tutto culturale. «I neomarxisti – ha osservato sconsolato il leader argentino – hanno saputo cooptare il senso comune dell’Occidente». In sostanza, pur avendo perso storicamente la battaglia contro il capitalismo e la liberal-democrazia, stanno ottenendo, mascherati, una significativa vittoria nella casa stessa del loro nemico. Il quale, vuoi per vergogna vuoi per interesse, vuoi per paura vuoi per ipocrisia, si prostra ogni giorno ai nuovi feticci. Milei ci ha detto che non si può essere liberali in economia senza esserlo anche nelle faccende connesse al cosiddetto “politicamente corretto”. E ha portato due significativi esempi: quello del femminismo radicale, che alla lotta di classe ha aggiunto «la ridicola e innaturale lotta tra uomo e donna», e quello dell’ecocatastrofismo, che ha sollevato il conflitto «dell’uomo contro la natura».
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Nell’uno e nell’altro caso è in gioco il bene più prezioso che ha l’umanità: la libertà. E, sempre in entrambi casi, è la mentalità dirigista e costruttivistica connaturata al socialismo ad insidiarla. Ma se ciò è vero, vale anche il contrario. Detto altrimenti, la meritoria battaglia che la destra, mondiale e italiana, sta combattendo da qualche anno contro la cultura woke non può fermarsi alle porte dell’economia, ove spesso si fa prevalere la logica dell’assistenzialismo e del protezionismo. «Lo Stato non è la soluzione, ma il problema» non solo quando vuole entrare nei nostri comportamenti privati, regolandoli con una morale astratta ed ipocrita, ma anche quando vuole indirizzare e regolare la nostra attività economica o imprenditoriale. Insomma, Milei ci ha invitato dalla platea di Davos a vedere e a tenere sempre ben presente il nesso fra l’attacco alle due libertà. Egli ci ha invitato ad integrare con una buona dose di liberalismo il nostro conservatorismo.
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