Israele, perché l'effetto Gaza cambia le elezioni
Lo storico Walter Laqueur pochi anni fa, dopo avere visitato le maggiori capitali europee, scrisse che «per le strade di Londra, Parigi, Berlino, Milano, si possono trovare suoni del Cairo, colpi d’occhio di Karachi o di Dacca, mentre molti cartelli risultano a noi incomprensibili a meno che non decidiamo di andare a studiare in massa in una scuola orientale». Furono in pochi a comprendere il significato profondo di quelle osservazioni. Il grande studioso del terrorismo politico invitava a riflettere sui cambiamenti radicali a cui era destinato il Vecchio Continente con gli inevitabili sconvolgimenti politici, culturali e civili. Ed è precisamente ciò che sta avvenendo. Infatti, il mutamento d’immagine delle nostre città si accompagna sempre di più a una crescita dell’insicurezza e della violenza quotidiana nei confronti dei residenti “bianchi”.
In tal senso, l’accoltellamento di un gruppo di bambini e di una donna avvenuto giovedì scorso all’uscita di una scuola elementare a Dublino e l’aggressione a colpi di mannaia subita pochi giorni prima dai cittadini di un piccolo villaggio francese, dove è stato ucciso un ragazzo di sedici anni, sono soltanto gli ultimi episodi di una lunga e feroce catena di odio di origine musulmana. Ciò che i funzionari del politicamente corretto non vogliono riconoscere è che il nemico principale per gli islamisti è rappresentato dalla civiltà occidentale e dalle comunità ebraiche. Una tale cecità impedisce agli stessi di capire le vere ragioni alla base dell’affermazione della destra in Olanda, il cui leader, Geert Wilders, non ha mai sottovalutato l’intreccio fra sicurezza e immigrazione islamica di massa.
Nel silenzio generale, la brutale mossa della Cina contro Israele: cambia il quadro
LA PROFEZIA
Giusto il contrario di quanto fatto fin qui sia dall’Unione europea che da gran parte delle classi politiche nazionali. Scrisse il decàno dei neoconservatori americani, Norman Podhoretz, all’indomani dell’attacco alle Twin Towers, che quel che era accaduto andava considerato solo «come l’inizio di una guerra di lunga durata nel corso della quale gli islamisti colpiranno con modalità sempre più subdole». Come si sa, di lì a poco, anche le città europee incominciarono a conoscere la ferocia del jihadismo. Il timore è che sulla violenza islamista l’establishment politico-culturale europeo stia cadendo nel medesimo errore commesso nei primi anni ’30, quando si sottovalutarono le azioni dei nazionalsocialisti piene di furore antidemocratico e di odio antisemita. Come finì è cosa nota. In vista del prossimo rinnovo del Parlamento europeo si spera che non siano lasciati cadere i segnali di allarme degli elettori olandesi e che al centro del dibattito pubblico venga posta la non più differibile questione del rapporto fra i cittadini europei, che credono nei diritti di libertà e nel pluralismo dei valori, e coloro che appartengono ad una comunità nella quale in tanti pensano che sia «un obbligo morale combattere con ogni mezzo i princìpi del mondo occidentale considerato corrotto e decadente». Il futuro dell’Unione si gioca soprattutto su questo terreno.
Libano, la minaccia al nord: perché la guerra può cambiare radicalmente