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Giorgia Meloni sullo scherzo russo: "Megafoni di Putin", chi smaschera a sinistra

Antonio Rapisarda
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No: non si è trattato dello scherzo di due burloni russi decisamente (troppo) esperti di protocolli diplomatici e procedure di sicurezza. Ma, come Libero ha sottolineato da quando è esploso il caso, la telefonata fake del duo Lexus e Vovan è da inquadrare per quello che è stato: un tentativo di disinformatia. Una stazione della guerra ibrida lanciata da Mosca all’Occidente. E nel caso specifico all’Italia che sull’Ucraina «ha una posizione chiarissima: e forse anche per questo– parola di Giorgia Meloni – “telefonano” a noi».

La prova del nove è emersa durante la conferenza stampa dedicata, sulla carta, alla riforma istituzionale e al Piano Mattei. Per la premier (che sapeva benissimo che avrebbe ricevuto alla prima occasione una sfilza di domande sul tema) l’ha fornita il governo russo stesso: «Quello che posso dire io è che questa telefonata è stata rilanciata, prima di tutto, da canali organici alla propaganda del Cremlino. Questo qualche domanda deve indurla». Domande che dovrebbe porsi anche chi «sta facendo da megafono a questi “comici”», ha spiegato mimando platealmente le virgolette, che giovedì sera a Otto e mezzo– con Lexus incalzato dal nostro direttore Mario Sechi – «dicevano in televisione di non voler fare questo genere di scherzi» a Vladimir Putin «perché sono d’accordo con il loro capo di governo».
Per il presidente del Consiglio è questa la chiave con cui interpretare il tentativo russo(clamorosamente fallito) di mettere in difficoltà la causa ucraina, cercando di estorcere sotto mentite spoglie qualche dichiarazione imbarazzante a uno dei leader maggiormente pro-Kiev. Niente da fare con Meloni che non è caduta nel tranello: non fosse altro perché, anche nel finto colloquio con il fantomatico presidente della commissione dell’Unione africana, «ho ribadito le stesse posizioni (atlantiste, ndr) di cui parlo pubblicamente».

La curiosità dei cronisti, allora, si è spostata sulla ricostruzione di una vicenda che ha comunque esposto pesantemente l’Italia e la sua sicurezza. La premier ha confermato di essersi accorta dello “zampino russo” già durante la chiamata: «Particolarmente sul passaggio riguardante il nazionalismo ucraino: perché chi conosce il dibattito su questa materia sa che è un tema che pone solo la propaganda russa». Un dubbio segnalato subito dopo all’ufficio diplomatico ma rimasto senza risposta per 44 giorni: tanto da farle dare per assodato che fosse privo di fondamento. «Credo che questo sia l’errore principale che è stato fatto dall’ufficio diplomatico – ha continuato Meloni – Non hanno fatto bene le verifiche».

 

Proprio ciò non le ha consentito di avvertire i servizi segreti e di agire di conseguenza nei confronti degli impostori: «Questa è la cosa che considero ancora più superficiale rispetto al tema di fissare la telefonata». Di qui l’ufficializzazione in diretta di ciò che era nell’aria dopo la nota di scuse del diretto interessato: «Questa è la ragione per la quale questa mattina il mio consigliere diplomatico, l’ambasciatore Francesco Talò, ha rassegnato le sue dimissioni». Figura salutata dal capo del governo con rispetto: «Un gesto di grande responsabilità per una persona che è consapevole, da capoufficio, che questa situazione è stata gestita con una leggerezza che ha ovviamente esposto la Nazione».

Questo è il punto rilevante per il presidente del Consiglio: la sicurezza nazionale e la tenuta del fronte occidentale. Altro che il tema della «figuraccia» con la quale montare una polemica interna contro il governo: così come ha fatto quasi tutta l’opposizione. «Se noi siamo stati oggetto di questo tentativo di disinformazione è anche per le nostre posizioni a livello internazionale. E mi parevano posizioni condivise», ha lamentato la premier dispiaciuta per il fatto che persino in questo caso, da sinistra, si sono rivelati «disposti a fare da megafono alla propaganda russa pur di attaccare il governo Meloni: anche quando così non si fa un favore all’Italia».

Una risposta è giunta pure riguardo il passaggio della telefonata sulla «stanchezza», riferita al conflitto ucraino: è frutto, ha spiegato Meloni, di una constatazione in base alla quale ha chiesto – anche durante il Consiglio europeo e proprio per non far mancare nel tempo il sostegno a Kiev – di sostenere anche le opinioni pubbliche che pagano le conseguenze sociali del conflitto. L’esatto contrario, insomma, di chi pensa che ciò possa significare non credere più nella vittoria ucraina: «Noi ci abbiamo creduto dall’inizio, continuiamo a crederci e continueremo a fare ciò che possiamo per dare una mano».

 

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