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Vovan e Lexus, è guerra cibernetica: la verità sull'attacco di Putin all'Italia

Daniele Dell'Orco
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Alexei Stolyarov e Vladimir Kuznetsov, in arte Vovan & Lexus, nell’arco della loro lunga carriera di mentitori telefonici sono riusciti a infinocchiare alcuni tra i più influenti leader della Terra: il presidente turco Erdogan, quello britannico Johnson, quello francese Macron e in ultimo il premier Giorgia Meloni. Sebbene le loro imprese siano davvero incredibili, hanno sempre respinto qualsiasi tipo di legame con le strutture dei servizi segreti russi.

Certo, farsi passare un premier al telefono non è così semplice, ma loro, che si definiscono sostenitori di Putin e che per questo «non raggirerebbero mai» il loro presidente (pur avendo in passato preso di mira il leader bielorusso Lukashenko) per non aiutare in alcun modo i nemici della Russia, dicono di lavorare solo «per se stessi» e di poter contare oltre che su indiscusse abilità anche su una rete di collaboratori messa in piedi nel corso del tempo che si occupa di superare i controlli dei servizi segreti degli altri Paesi. La loro presunta indipendenza però è difficile da credere, anche perché alcune delle loro “missioni”, per tempismo e caratura del “bersaglio”, rischiano di avere ripercussioni incredibili su avvenimenti di portata planetaria.

 

Prima di Giorgia Meloni, ad esempio, un altro italiano rimase intrappolato nella loro tela: Paolo Alli, presidente di Alternativa Popolare ed ex Presidente della Assemblea Parlamentare della Nato, unico italiano ad aver coperto questo ruolo negli ultimi 60 anni. Nel 2017, quando era a Bruxelles, venne contattato dai due spacciandosi per l’allora presidente del Parlamento ucraino Andrej Parubij. Durante la conversazione, il finto Parubij prospettò ad Alli l’ipotesi che il governo ucraino potesse indire un referendum popolare nel giro di pochi mesi sull’adesione dell’Ucraina alla Nato. Un tema delicato visto che già da tre anni si combatteva nel Donbass. Poiché pochi mesi dopo in Russia ci sarebbero state le elezioni presidenziali, a un certo punto, per cogliere in fallo Alli, i due dissero: «Noi dobbiamo fare di tutto per far sì che Putin perda».

 

Alli però, quasi involontariamente, riuscì a non cadere in un tranello che avrebbe portato nel giro di pochi minuti tutte le agenzie russe a battere la notizia delle intenzioni della NATO di interferire nelle elezioni russe, con conseguenze potenzialmente critiche. Ma non solo. Perché una settimana dopo, presi dalla delusione, Vovan & Lexus riuscirono a manipolare la voce di Alli grazie ai software di riconoscimento vocale e a mettersi in contatto con il vero Andrej Parubij, superando dunque anche i sistemi di sicurezza ucraini. La conversazione non rivelò molto nemmeno in quel caso, ma lo scopo finale era di farsi beffe dell’SBU ucraino e delle capacità di Parubij stesso che non aveva capito di parlare per quasi un'ora con un software. Come ricorda Paolo Messa nel suo libro L'era dello sharp power (Bocconi editore, 16,5 euro), questi scenari sono a tutti gli effetti il prodotto dell’uso di nuovi strumenti di guerra cibernetica, volti a delegittimare un avversario quando va bene, a scatenare incidenti diplomatici quando va male. Checché ne dicano loro, le “burle” di Vovan & Lexus rientrano nell'arsenale di Putin al pari di missili, aerei e tank. 

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