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Reza Ciro Pahlavi, figlio dello Scià: "Israele combatte per tutti"

David Zebuloni
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In un’epoca in cui il regime iraniano sembra rivolgere i suoi tentacoli contro ’Europa e il Medio Oriente, interferire nella guerra a Gaza, ostacolare gli accordi di normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita, demonizzare gli Stati Uniti e flirtare con la Russia e la Cina, minacciare l'intera umanità con un'arma atomica, la voce di Reza Ciro Pahlavi, erede al trono dell'Iran, risulta più importante e impellente che mai. In un'intervista esclusiva, lucida e ottimista, sua Altezza Reale spiega perché il regime iraniano è destinato a crollare e ha ribadito il suo sostegno a Israele in quest'ultima guerra di sopravvivenza.

Sua Altezza, è trascorso un anno dall'inizio delle proteste contro il regime iraniano. Come pensa che sia cambiato il suo Paese da allora? 
«Bisogna capire che, quando si combatte un regime estremamente oppressivo come quello iraniano, le manifestazioni non avvengono più in una località specifica o non toccano più solo una certa fetta di popolazione, ma avvengono ovunque e toccano tutti. Oggi la richiesta di libertà in Iran, è collettiva. Tutti si sostengono a vicenda, e questa è la prima grande conquista del popolo iraniano nell'ultimo anno. Dopo la Russia, l'Iran è il Paese con la più grande risorsa di gas al mondo, eppure il 60% degli iraniani vive al di sotto della soglia di povertà. Questa miseria, aggiunta al costante senso di oppressione, farà in modo che il popolo iraniano continuerà la sua battaglia finché non avrà vinto».
Ad oggi sembra uno scenario lontano, improbabile. 
«Certo, ce lo insegna la storia: i regimi totalitari, alla fine, scompaiono sempre. Si pensi all'Unione Sovietica e il suo impero comunista. O al regime nazista di Hitler, persino all'apartheid in Sud Africa. Non esiste un regime totalitario e oppressivo che abbia superato l'esame del tempo, sono tutti crollati. Fatta eccezione per il Nord Corea, non conosco altri sistemi radicali che siano sopravvissuti. Così accadrà anche in Iran».

 


 

Ha citato diversi tipi di regimi totalitari. Quello iraniano, come lo definisce? 
«È l’insieme di tutto il peggio: un regime al contempo totalitario, razzista e fascista».
E la maggior parte degli iraniani preferisce questo regime o le sue posizioni liberali? 
«Io sono assolutamente convinto che la maggior parte degli iraniani la pensino come me. Gli iraniani non dimenticano il Paese prospero che era l'Iran prima della rivoluzione e sanno che il regime non è loro, che non agisce nel loro interesse, che la sua missione è esportare un'ideologia radicale nel mondo. I soli che sostengono questo regime incompetente e corrotto, sono quelli che ne beneficiano direttamente».
Nell'ultimo anno abbiamo visto l'Iran avvicinarsi ad una superpotenza e allontanarsi da un'altra. Da un lato i rapporti con la Russia non sono mai stati più stretti, dall'altro i rapporti con l'America sembrano incrinarsi del tutto. Perché? 
«Questo è il risultato della narrativa anti occidentale e anti americana del regime iraniano. Ecco, nonostante il regime si autoproclami del tutto indipendente, sappiamo perfettamente che in realtà è dipendente dalla Russia. Non oggi, non nell'ultimo anno, ma da molto prima. La Russia ha un'influenza importante in termini di controllo dell'apparato militare iraniano, non a caso ha venduto agli iraniani tante armi negli ultimi anni. Sotto certi punti di vista, Putin funge da padrino per l'Iran».

 


 

A marzo dell'anno scorso, invece, l'Iran e l'Arabia Saudita hanno ripristinato i loro rapporti diplomatici. Come interpreta questo riavvicinamento? 
«Io non credo che questo riavvicinamento indichi un cambiamento strategico significativo. L'Arabia Saudita non è migliore di alcun altro Paese e certo non può credere, nemmeno per un istante, di riuscire a intrattenere dei rapporti sani con il regime. Basti pensare ai tentativi della stessa Arabia Saudita di instaurare delle relazioni diplomatiche stabili con Israele, come risultato degli Accordi di Abramo, ignorando il contrasto dei due rapporti in questione».
In effetti, prima dello scoppio della guerra in Israele, sembrava che la normalizzazione dei rapporti con l'Arabia Saudita fosse imminente. 
«Io credo che l'Arabia Saudita abbia effettivamente capito l'importanza degli accordi di Abramo, ma per portare un cambiamento reale e concreto nel Medio Oriente bisogna unirsi contro un nemico comune. Il regime islamico, in questo caso, è il nemico comune. Lo sanno gli Emirati Arabi e lo sa anche l'Arabia Saudita».
Quale crede che sia il ruolo dell'Iran nell'attuale conflitto tra Israele e Hamas? 
«Sin dal principio, il regime totalitario iraniano non è mai stato a favore della prosperità e dello sviluppo, ma dell'espansione di un'ideologia a spese del proprio popolo. Il regime utilizza ogni risorsa che ha per reprimere ciò che succede in casa e promuovere una campagna di terrorismo e instabilità al di fuori della regione. Tutto ciò a cui stiamo assistendo è il sintomo e al contempo il risultato di ciò che accade a Teheran. Il regime non è in cerca di pace o di stabilità. Al contrario, il regime vuole sabotare tutti i potenziali accordi di pace che vedono coinvolta Israele».

 


 

Cosa ne pensa dell'intervento di Biden? Cos'altro potrebbero fare gli USA per contribuire alla causa? 
«Gli Stati Uniti dovrebbero aumentare le sanzioni in Iran, applicare maggior pressione così da indebolire il regime e non fortificarlo. Il regime oggi celebra i martiri, promuove il terrorismo: per sconfiggerlo bisogna rimuoverne le radici, non potarne i rami. Inoltre, l'Iran gode oggi non solo del sostegno della Russia e della Cina, ma intrattiene con loro una vera e propria partnership strategica. Ciò che emergerà da questo sodalizio, determinerà il destino del Medio Oriente».
Lei sostiene e legittima ogni mossa politica e militare da parte di Israele in Medio Oriente?
«Israele difende se stessa dal terrorismo, ma questo non è un problema che riguarda solo lei. Il terrorismo è un problema internazionale e va sconfitto. Ecco, è arrivato il momento in cui ognuno di noi deve essere chiaro nelle proprie intenzioni. Ognuno deve prendere una posizione. Non possiamo rimanere nel mezzo, dobbiamo decidere da che parte stare».
Per lei è sempre stato chiaro da che parte stare?
«Io sto dalla parte di tutte quelle nazioni pacifiche che insieme possono garantire un clima di stabilità e solidarietà nel mondo. Io so molto bene chi sono i miei nemici, spero che anche gli altri l'abbiano capito».
Lei crede davvero ad un eventuale possibile attacco nucleare iraniano o pensa che quella del regime sia solo una sterile minaccia?
«Io credo che Israele e il mondo intero non possano correre il rischio che questa minaccia sia fondata. Del regime non ci si può fidare, mai. Il giorno in cui l'Iran avrà un'arma nucleare, non esiterà ad utilizzarla. Pertanto, bisogna fare tutto il possibile affinché il progetto nucleare in corso non venga ultimato».
Sua Altezza Reale, una domanda personale: come ci si sente ad essere un re senza regno?
«Non ci penso molto».
Davvero?
«Davvero. Non mi vedo più come un'istituzione monarchica. Sì, ero destinato a diventare lo Scià, ma la mia vita da allora è stata travolta e stravolta a tal punto da portarmi ad intraprendere un'altra strada».
Quale titolo si conferisce oggi?
«Il titolo di un uomo che ha quarant'anni di esperienza nel mondo libero da donare all'Iran. Essere un monarca, in questo momento, mi limiterebbe soltanto. Non ho alcuna fantasia di tornare in Iran e mettermi la corona in testa. Il mio sogno è liberare il mio paese dai suoi tiranni. La mia missione di vita è garantirmi che il mio popolo possa andare a votare democraticamente e scegliere il proprio destino».
Lei è ottimista circa il futuro dell'Iran e del Medio Oriente?
«La storia ci insegna che i regimi totalitari sono destinati a crollare e che è la pace a regnare, sempre. La mia non è dunque una vana speranza o un augurio, non è nemmeno ottimismo, ma una piena certezza. Alla fine, regnerà la pace». 

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