Cerca
Logo
Cerca
+

Gaza, il New York Times si affida al giornalista filo-Hitler

  • a
  • a
  • a

Con il drammatico inizio del conflitto in Medio Oriente, l'ecosistema progressista italiano e globale non sa più che pesci prendere: il cortocircuito è evidente e crea non pochi imbarazzi. Se da una parte il diktat dev'essere sempre associare la destra a fascismo e nazismo, dall'altra invece i palestinesi e, in alcuni casi, i terroristi di Hamas sono da considerare i nuovi partigiani, i liberatori delle terre usurpate e occupate da Israele. Ma negli Stati Uniti, terra della Havard woke e della cancel culture, si è sperato ogni limite.

Come riporta Il Foglio, alcuni media vicini a Israele, come la rivista Algemeiner Journal e la ong HonestReporting, si sono accorti che in questi giorni a seguire per il New York Times il conflitto in Medio Oriente è tornato Soliman Hijjy. Ma chi è? Si tratta di un videoreporter palestinese che, in passato, lo stesso quotidiano progressista aveva licenziato perché considerato un grande fan di Adolf Hitler. Nel 2012, il giornalista aveva elogiato il dittatore in un post su Facebook, commentando: “Quanto sei grande, Hitler”, condividendo un meme del Führer nazista che si scatta un selfie. Nel 2018, ha pubblicato sui social un post in cui scriveva “in uno stato di armonia come lo era Hitler durante l’Olocausto”.

 

 

"Il New York Times - lamenta l’ambasciatore d’Israele all’Onu Gilad Erdan - ha appena riassunto un NAZI. Abbiamo visto tutti come il Nyt abbia immediatamente ripetuto a pappagallo le bugie di Hamas riguardo all’ospedale al Ahli (al quale Hijjy ha contribuito)”. Il quotidiano liberal, dal canto suo, ha fornito una risposta ai limiti del surreale: "Abbiamo esaminato i post problematici sui social media del signor Hijjy e abbiamo intrapreso una serie di azioni per garantire che comprendesse le nostre preoccupazioni e potesse aderire ai nostri standard se avesse voluto svolgere un lavoro freelance per noi in futuro”, ha detto un portavoce del giornale newyorkese. “Il signor Hijjy ha seguito questi passi e ha mantenuto elevati standard giornalistici. Ha svolto un lavoro importante e imparziale con grande rischio personale a Gaza durante questo conflitto. Ma ancora non ci è dato sapere in cosa consistano questi cosiddetti standard.

La scelta, incredibile, di affidare il racconto del conflitto a un sostenitore di Hitler e di Hamas sta già avendo delle ripercussioni in termini di fake news. Basti pensare, per esempio, alle notizie false diffuse dopo il presunto razzo lanciato da Tel Aviv sull'ospedale di Gaza. Il giornale aveva attribuito a un bombardamento di Israele affidandosi alla versione dei terroristi. Nei giorni successivi, e dopo molte pressioni dell’opinione pubblica, il New York Times si è poi scusato: “Le prime versioni della copertura – e l’importanza che ha ricevuto nei titoli, negli avvisi di notizie e sui canali dei social media – si basavano troppo sulle affermazioni di Hamas e non chiarivano che tali affermazioni non potessero essere immediatamente verificate”, ha scritto la direzione del giornale. Quella copertura “ha lasciato ai lettori un’impressione errata su ciò che era noto e su quanto fosse credibile il resoconto”.

 

 

Il paradosso, come scrive Luciano Capone, è evidente: il più grande massacro di ebrei dopo la Shoah è stato un’occasione di rilancio per la carriera di un giornalista antisemita e filo Hamas. “Sembra – ha scritto Ira Stoll sull’Algemeiner – che il New York Times abbia uno standard per assumere corrispondenti da Gaza che elogiano Hitler in tempo di pace, e uno standard diverso e più indulgente per assumere corrispondenti da Gaza che elogiano Hitler in tempo di guerra”.

 

 

Dai blog