Greta Thunberg cancellata dai libri di storia: il crollo del mito
«C’era speranza e c’era la fede/Ma il pane? La carne? Facevano senza/non disprezzateli, se derubavano chi non voleva dar loro accoglienza...». Quando, nel 2018, spinta dalla sua nobile ossessione-compulsione per la crisi climatica, Greta Thunberg decise di lasciare la scuola e scendere in campo, qualcuno citò La crociata dei bambini. Ossia la poesia di Bertolt Brecht del 1939 che richiamava il viaggio di ottocento anni prima, verso il cuore delle crociate, di frotte di ragazzini esagitati; i quali fanciulli si credevano in grazia di Dio ma vennero ingoiati dal mare. Ora, per Greta, fortunatamente, qui si tratta solo di essere inghiottita dall’oblio dei libri di storia israeliani; epperò, certo, per la causa ecologista mutatasi in indiretto sostegno pro Hamas non è un grande colpo di marketing. La notizia, infatti, è Greta, ex amazzone delle generazioni future, verrà rimossa che dai programmi e dalle aule scolastiche israeliane.
PERDERE AUTOREVOLEZZA
Il ministero dell’Istruzione israeliano cancellerà «ogni riferimento all’attivista svedese dopo che lei ha pubblicato un post durante il fine settimana con un cartello anti-israeliano con la scritta “stare con Gaza”». Il motivo è abbastanza scontato.
«Hamas (non condannata da Greta, ndr) è un’organizzazione terroristica responsabile dell'omicidio di 1.400 israeliani innocenti, inclusi bambini, donne e anziani, e ha rapito oltre 200 persone a Gaza», sostiene il ministero. «La posizione di Greta la squalifica dall’essere un modello educativo e morale; e non è più idonea a fungere da ispirazione ed educatrice per gli studenti israeliani». Cioè, la tesi è: cara ragazza, se possiedi una visione così deformata e sprezzante di un argomento annoso che non conosci; be’, con questo «indebolisci anche la validità delle tue posizioni legate al clima». A ciò s’aggiunga un prevedibile furor di popolo verso la nostra ex Shirley Temple del climate change. Un furore che si concretizza, prima, nell’invincibile ironia che gli ebrei sfoderano nei momenti peggiori: «Hamas non usa materiali sostenibili per i suoi razzi che hanno massacrato innocenti israeliani. Le vittime del massacro di Hamas avrebbero potuto essere tuoi amici. Parla di questo».
E, poi, culmina in un manifesto di 100 firme raccolte in poche ore- tra intellettuali e attivisti ambientalisti- che si dicono «profondamente feriti, scioccati e delusi dai vostri tweet e post riguardanti Gaza»; e che invitano Thunberg ha «riconsiderare le atrocità commesse da Hamas». Sgorgano, infine, dal profondo dei cuori delle ex gretine israeliane, le proteste più commosse come quella della coetanea israeliana Shaked Shefy Cohen, sopravvissuta all’attacco di Hamas: «Greta, Vieni a vedere di persona. Cura la tua cecità». Magari fosse solo la cecità. E, lasciamo stare che, accortasi all’ultimo della propria gaffe incendiaria, Thunberg si sia scusata (neanche tanto) con un «non c’è bisogno di dire che sono anche contro gli orribili attacchi di Hamas», e invece ce n’era un bisogno disperato. La vera verità è un’altra. Greta Thunberg si è lentamente consumata nel suo mito protestatario. Ha perso freschezza d’anima, ha dilapidato il patrimonio dei suoi pensieri esplosivi. Ha trasformato l’espressione stizzita con cui fustigava (giustamente) le nazioni sull’orlo dell’apocalisse, in una livida arma politica che oramai esula delle solite battaglie ambientaliste. Greta assomiglia sempre più alla sua versione invecchiata.
COME JANE FONDA
Ossia quella Jane Fonda che a oltre 8o anni, si faceva arrestare, anzi «trarre in ceppi», durante l’ennesima protesta pacifica a favore del clima e contro Trump, davanti al Congresso degli Stati Uniti, per ben undici venerdì di seguito. Finita la settimana di notorietà, Jane, la ribelle convenzionale, al lunedì tornava sui suoi set milionari. Ecco, Greta è scesa dal palco della protesta storica e s’è infilata nella folla delle figurine cocciutamente sinistre. Con i soliti, telefonati cliché. Pensateci. I ripetuti arresti nella sua Svezia; le continue violazioni di legge con tanto di giustificazioni sgangherate, «non ho obbedito alla polizia ma secondo me siamo in emergenza e quindi la mia azione era legittima, non possiamo salvare il mondo rispettando le leggi»; le previsioni catastrofiche via Twitter (nel 2018: «l’umanità scomparirà entro 5 anni», astutamente cancellato); il documentario sulla sua avventurosa e ricca vita da dissidente presentato alla Mostra di Venezia; i vagabondaggi sulla barca a vela capitalista di Pierre Casiraghi; il sostegno rumoroso ai Gay Pride; il tambureggiato Nobel per la Pace che l’avrebbe messa al livello di Wiesel, Rabin, Mandela o Madre Teresa. Perfino i suoi mancati viaggi in Cina o in India, gli unici paesi che potrebbero davvero sovvertire la tragedia climatica; ma da quelle parti, col cavolo che Greta pensi all’evangelizzazione. Tutto. Tutto, in Greta Thunberg, ha il sapore del deja vu, la sensazione d’una parabola discendente e di un eroismo posticcio e eterodiretto. Oggi, poi, le sue posizioni su atto terroristico di Hamas e reazione di Israele, ne rendono il mito fragile come il clima che vorrebbe difendere. Oramai Greta fa la casinista di mestiere. Jane Fonda, almeno, aveva un secondo lavoro...