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Ron Mandelbaum, la testimonianza: "Così Hamas ha sterminato la mia famiglia"

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Hoara Borselli
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«Oggi a me manca il respiro, è troppo il dolore. Mi sento offeso, dissacrato. Dopo l’orrore dell’Olocausto avevamo giurato ai nostri bambini che non sarebbe mai più successo e invece...». Non riesco a descrivere a parole la disperazione che traspare dal racconto del dottor Ron Mandelbaum, 65 anni. La sua famiglia è stata distrutta dall’attacco feroce che i terroristi di Hamas hanno sferrato nel kibbutz di Kfar Aza dove hanno perso la vita almeno duecento civili e dove sono stati trovati neonati decapitati.

Ron, la sua famiglia è stata distrutta. Le va di raccontarci cosa le è accaduto?
«Erano le 6,30 di sabato mattina quando mia moglie, Hadas Epstein, mi avvisa dell’arrivo di una telefonata dal kibbutz. Lei è nata e cresciuta lì. Sua madre, Bilha, era stata trovata riversa sull’asfalto in una pozza di sangue e senza più alcun battito al polso. Inizialmente abbiamo pensato ad un incidente. Ma è arrivata subito dopo un’altra telefonata. Abbiamo sentito gli spari, le urla. A quel punto abbiamo capito che stava accadendo qualcosa di terribile».

 

 

 

A quel punto cosa avete fatto?
«Giusto il tempo per renderci conto di quello che stava succedendo, che è arrivata una terza telefonata: Ofir Lieb stein, marito della sorella di mia moglie, 50 anni, trucidato anche lui. Lui era Presidente del consiglio regionale Shaa’r Hanegev».

Anche Ofir si trovava nel kibbutz?
«Ofir si trovava in ufficio ma appena ha saputo quello che stava accadendo al kibbutz è corso verso casa. Sapeva che la sua famiglia, la sua casa erano in pericolo. Pensava si trattasse di un assalto composto da due, tre terroristi. Mai avrebbe immaginato un attacco così di massa. Voleva difenderli. Ma non c’è riuscito. I terroristi, l’Isis, non gli hanno lasciato scampo. Gli hanno rubato la pistola e poi a colpi di mitra l’hanno ammazzato. Anche lui lasciato riverso a terra. Purtroppo non è finita qui. (Ron sospira, resta in silenzio, cerca di recuperare la forza per andare avanti con il racconto)».

Aspetto... Le va di continuare?
«Sì, è giusto che io continui. Tutti devono sapere cosa ci hanno fatto questi nazisti. Netta Epstein, 22 anni, figlio del fratello di mia moglie, un ragazzo meraviglioso, che viveva in una casa sua, nel kibbutz, durante il massacro è uscito a mani nude. Ha provato a combattere con un coraggio straordinario. Gli hanno tirato addosso una bomba a mano. È esploso, morto sul colpo. Stiamo piangendo tre morti e abbiamo un ragazzo disperso».

Di chi si tratta?
«È mio nipote Nitzan Liebstein, dicianovenne, figlio di Ofir. Durante l’assalto si trovava nella sua stanza. È stato ferito. Sanguinante ha chiamato mia figlia che è medico, che gli ha dato indicazioni su come medicare la ferita. Immediatamente ho chiamato i militari dicendo che c’era un ragazzo sanguinante nel kibbutz di correre subito per aiutarlo. Non sono potuti intervenire subito perché l’area era invasa dai terroristi. Una volta raggiunta la casa sono corsi nella stanza di mio nipote. Era perforata dai proiettili, c’era una bomba a mano sul pavimento. Di Nitzan nessuna traccia. Non sappiamo che fine abbia fatto. Il papà di mia madre, Amos, 84 anni, ha perso la moglie con cui era spostato da 62 anni, il marito della figlia, un nipote e ha l’altro disperso».

 

 

 

Lei mi ha detto che le sembra di rivivere l’orrore dell’Olocausto.
«È vero. I miei genitori hanno vissuto l’orrore dei campi di concentramento in Polonia. Dai racconti di mio padre, ricordo che parlava sempre di quando dovevano nascondersi dai nazisti, in silenzio, per non farsi scoprire. Unico modo per cercare di scampare alla morte. Ecco, se penso che nonno Amos è riuscito a sopravvivere perché nascosto in silenzio in una stanza, mi sembra di rivivere la storia di mio padre. Dopo l’olocausto avevamo giurato ai nostri bambini che non sarebbe successo mai più. Quel giuramento non è servito a molto purtroppo».

Ron, ha paura?
«Io e mia moglie viviamo a trenta km a Nord Est di Tel Aviv. Siamo sul confine di Samaria, dove stanno i palestinesi. La notte non dormo. Stiamo sul tetto della casa dove abbiamo allestito una piccola veranda. Resto sveglio per controllare che non si avvicini nessuno. Viviamo nel terrore costante. Spero di svegliarmi da questo incubo. Non posso credere sia tutto vero. La mia famiglia è stata distrutta. Non so come potremmo rialzarci».

Sente la vicinanza dell’Italia al popolo israeliano?
«Le confido che ho una grande paura. Lo dico per esperienza. In questo momento in molti ci sono vicini perché siamo stati colpiti a sorpresa. Però adesso c’è una guerra che l’esercito israeliano sta portando avanti per difendersi, non dimentichiamo i centocinquanta ostaggi in mano dei palestinesi, chiudendo l’acqua, l’elettricità, e non facendo entrare nulla a Gaza. Ho paura che il sostegno ad Israele cambierà per la strage umana palestinese che può verificarsi».

Teme che l’opinione pubblica possa cambiare?
«I palestinesi sono campioni del mondo di propaganda».

Teme possano apparire loro le vittime?
«Posso dire solo una cosa. Non dimenticate mai chi è l’aggredito e chi l’aggressore. E ribadiamo questo a chi pensa che gli israeliani attacchino le case dei civili palestinesi facendo stragi. Prima dell’attacco noi lanciamo un allarme per dare il tempo a chi non è connivente con i terroristi, di lasciare le case e scappare. Noi non vogliamo ammazzare i bambini, donne e anziani come hanno fatto loro. Vogliamo che vengano liberati i nostri ostaggi, che sono i nostri figli, i nostri padri e le nostre madri. Siamo stati massacrati per la sola colpa di essere ebrei. È nostro dovere difenderci». 

 

 

 

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