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Israele, il sogno calcistico dei principi sauditi: ecco un'altra vittima della guerra

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Gianluca Mazzini
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Il primo ministro israeliano Netanyahu ha promesso che con la guerra a Gaza cambierà il Medio Oriente. Il conflitto è una variabile terribile e imprevista che sconquassa gli equilibri asiatici. Tra le conseguenze e le possibili vittime c’è anche il grande progetto saudita di rinnovare e occidentalizzare attraverso il calcio uno dei Paesi musulmani tra i più integralisti. Dopo gli straordinari colpi di calciomercato iniziati lo scorso anno con l’arrivo di Ronaldo e il boom estivo che ha portato top player in serie a giocare nel deserto, sembrava tutto un fiorire di opportunità. Ora l’ombra della guerra regionale rischia di rovinare i piani. I segnali di tensione erano già emersi prima che il conflitto esplodesse in Israele.

Il 2 ottobre a Isfahan, in Iran, la squadra locale del Sepahan doveva giocare con i sauditi dell’Al Ittihad per gli ottavi di finale della Champions asiatica. La partita non si è disputata perché i giocatori ospiti si sono rifiutati di scendere in campo quando hanno visto che tra le panchine era collocato il busto del generale iraniano dei Pasdaran Soleimani, ucciso in Iraq da un drone americano nel 2020. L’alto ufficiale è considerato un eroe di guerra dagli iraniani ma era inserito nella lista nera dei terroristi da parte dei sauditi. La squadra di Nuno Espirito Santo e Benzema ha deciso di non scendere in campo (tra i fischi dei 60mila presenti sulle tribune) facendo ritorno a Gedda. Difficile capire se e quando si rigiocherà la partita e se gli iraniani andranno in Arabia per il ritorno. Coppa già mezza compromessa.

In questo clima di tensione già preesistente si è innescata l’azione di Hamas che ha scatenato il conflitto e costretto Israele a fermare tutti i campionati, ma anche i tornei degli stati arabi vicini sono a rischio. Non solo. Potrebbero saltare le supercoppe di Italia e Spagna programmate a gennaio tra Gedda e Riad. Il fascino dei petrodollari va sempre bene per l’esangue calcio europeo ma l’idea di giocarsi questi trofei all’inizio del prossimo anno in Arabia Saudita sta già suscitando dubbi e perplessità.

 

 

 

SUPERCOPPE A RISCHIO

Da quest’anno la Lega calcio italiana, sul modello spagnolo, ha organizzato un minitorneo a quattro con due partite di semifinali più la finale. Vuol dire trasferire quattro squadre in Arabia. Il Napoli ha già fatto sapere che non intende partecipare anche a rischio di sanzioni. Il presidente partenopeo De Laurentiis, sempre refrattario alla diplomazia, ha definito da “deficienti” l’idea di andare a giocare a quelle latitudini in tempi di guerra. Se la situazione si aggravasse bisogna vedere cosa pensano di fare Inter, Fiorentina, Lazio e l’eventuale sostituta del Napoli ovvero il Milan. Il torneo potrebbe saltare. Stesso dilemma per i club spagnoli che dovranno partecipare alla sfida per l’assegnazione del trofeo iberico che vede in lizza: Real e Atletico Madrid, Barcellona e Osasuna.

Per non parlare della Coppa d’Asia per Nazioni in programma dal 12 gennaio al 10 febbraio in Qatar. Si tratta della maggiore manifestazione calcistica della regione dopo il Mondiale dello scorso anno. Inizialmente doveva svolgersi in Cina poi la Fifa l’ha assegnata agli Emiri di Doha la cui squadra è detentrice del trofeo vinto nel 2019. Tra le ventidue finaliste ci sono squadre di Paesi che appartengono al mondo occidentale come Giappone e Australia e quindi geopoliticamente dalla parte di Israele, squadre di regimi totalitari come Iran e Siria (ostili agli occidentali), le squadre delle monarchie del Golfo (Bahrein, Arabia Saudita, Qatar). Si tratta di nazioni antidemocratiche ma con crescenti rapporti con Israele. Tra le finaliste anche la Palestina che giocherà (se giocherà) la sua prima partita il 14 gennaio con l’Iran. Che succederà?

 

 

 

Vero che il progetto pianificato a livello statale per il calcio come biglietto da visita della nuova Arabia moderna voluto del principe Mohammed Bin Salman prosegue senza sosta. L’Arabia Saudita si è candidata ufficialmente a ospitare i Mondiali del 2034. Ma tutto dipende da come e se verrà ridisegnato il Medio Oriente, tornato al centro del gioco delle grandi Potenze. Poi c’è da valutare un aspetto psicologico. Instabilità e tensioni belliche condizioneranno i giocatori europei andati a svernare al profumo dei petrodollari? Rinnegheranno la scelta araba che prometteva un finale di carriera da mille e una notte? Il sogno del calcio arabo rischia un traumatico risveglio.

 

 

 

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