Joe Biden? Se ora il presidente nasconde i suoi errori con l'Iran
Domenica il Wall Street Journal smascherava lo spin del segretario di Stato Usa Antony Blinken, che poche ore prima aveva affermato alla Nbc di non avere prove di un coinvolgimento di Teheran, sebbene riconoscendo il «lungo sostegno» ad Hamas. I piani di attacco sono stati studiati per settimane in numerosi incontri in Libano tra Ismail Qaani, il leader della Forza Quds, braccio militare delle Guardie della Rivoluzione Islamica, e i rappresentanti di Hamas e Hezbollah. Fino alla “luce verde” arrivata lunedì scorso in un vertice a Beirut. Ma i segnali si sprecano, dalla telefonata del presidente iraniano Raisi per complimentarsi e ribadire il sostegno, ai post dell’ayatollah Khamenei che annunciavano, il giorno successivo l’ordine di attacco, la fine del “regime sionista”.
E chiunque conosca un minimo le dinamiche del Medio Oriente e sia in buona fede sa bene che un attacco di tale portata da parte di Hamas è impensabile senza il via libera del suo principale sponsor e fornitore di armamenti e finanziamenti. A questo punto però, con 1.300 vittime in gran parte civili e le brutalità documentate, la distruzione di Hamas è il minimo sindacale per Israele e resta da vedere se i reiterati avvertimenti Usa a non intromettersi rivolti ad attori statuali e non, e l’invio di due portaerei nell’area saranno sufficienti a ristabilire la dissuasione. Lo capiremo da come reagirà Teheran di fronte alla prospettiva concreta di perdere il suo proxy a Gaza.
Sul fronte interno, negare l’evidenza della regia iraniana è per l’amministrazione Biden vitale per respingere le critiche alla sua politica di appeasement con l’Iran. Se accusasse direttamente Teheran, metterebbe sotto accusa se stessa. Anche perché sabato sono state spezzate 25 vite americane. Come a Bengasi, quando fu rifilata la balla del video anti-islamico che avrebbe scatenato le proteste della popolazione libica, mentre l’ambasciatore Christopher Stevens e altri americani furono uccisi durante un attacco militare pianificato dai jihadisti. Ma Obama doveva essere rieletto. L’amministrazione Biden quindi sta facendo di tutto per “contestualizzare”, per nascondere dietro una falsa narrazione le sue politiche perverse che hanno seminato il caos, soprattutto in Medio Oriente (ma non solo), incoraggiando i nemici dell’America e allontanando gli alleati storici. Ma lo spin stavolta è debole.
REGALO DA 6 MILIARDI
Recentissimo l’accordo con Teheran che prevede anche lo scongelamento di 6 miliardi di dollari di fondi iraniani sotto sanzioni. Fondi che, si difende Washington, sarebbero vincolati a scopi umanitari, solo perché non nella diretta disponibilità iraniana ma in Qatar – Paese che però, guarda caso, ospita proprio la leadership di Hamas. Anche ammesso che siano vincolati, 6 miliardi di nuovi fondi stanziati per cibo e medicine equivalgono a 6 miliardi di fondi già esistenti che possono essere liberati e dirottati su altre voci di bilancio. E come anche il segretario Blinken ha riconosciuto, «l’Iran, purtroppo, ha sempre utilizzato e concentrato i suoi fondi sul sostegno al terrorismo, a gruppi come Hamas».
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Ma c’è molto di più di questi 6 miliardi, che giungono al culmine di 33 mesi di appeasement con Teheran, la politica di “riallineamento” della presidenza Obama riesumata da Biden fin dal suo insediamento – e proseguita nonostante la fornitura a Mosca dei droni che piovono sulle città ucraine e la brutale repressione in corso in Iran contro donne e dissidenti. Per riportare Teheran al tavolo sul nucleare, dopo la rottura della presidenza Trump, Biden ha allentato le maglie delle sanzioni, il che tra fondi sbloccati e maggiori introiti dal petrolio equivale a decine di miliardi nelle casse iraniane, ha ripreso i pagamenti alle entità palestinesi sospesi da Trump, che finiscono anch’essi in armi e alle famiglie dei martiri del jihad, ha rotto con Riyad sul caso Kashoggi e contribuito alla delegittimazione del governo Netanyahu in Israele. La realtà è che non esiste, semmai esistita, una “causa palestinese”, c’è solo la causa iraniana e jihadista. Hamas, Hezbollah e gli altri gruppi palestinesi si muovono su comando di Teheran perseguendo i suoi interessi. Quando sentite parlare di conflitto “israelo-palestinese” come “madre di tutti i mali del Medio Oriente”, state pur certi di avere di fronte un amico, consapevole o meno, del regime iraniano.
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