Cina, quel dissidente dimenticato dal mondo
Sta ovviamente facendo il giro del mondo la foto dell’imprenditore hongkonghese Jimmy Lai incatenato fra secondini e filo spinato. Perché Jimmy Lai in catene è l’emblema di tutta Hong Kong oramai incatenata. Ieri è scoccato il giorno 1000 della sua detenzione nella prigione di Stanley, la cittadina amata dai turisti che sorge su una penisola sud-orientale dell’ex colonia britannica, colpevole solo di fare informazione indipendente.
Fondatore di catene di abbigliamento, Lai è noto soprattutto come editore del quotidiano tabloid, campione di vendite, Apple Daily. Creato nel 1995 in vista del ritorno, due anni dopo, di Hong Kong alla Cina neo-post-nazional-comunista, lo ha pubblicato in un digest inglese sul web e sia su carta sia online in cinese tradizionale. Gli anticomunisti di Hong Kong, Macao e Taiwan fanno così, rifiutando le autostrade del nuovo cinese semplificato con cui Mao Zedong volle far correre rapido e capillare il verbo del regime, traslando nella burocrazia di partito la logica dell’urbanistica parigina a grandi direttrici su cui Napoleone III poteva, alla bisogna, spostare facilmente l’artiglieria pesante.
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OMBRELLI GIALLI
Per Lai il mondo cambiò il 4 giugno 1989, quando Piazza Tiananmen a Pechino si fece rossa del sangue dei dimostranti per la democrazia, in maggioranza studenti universitari, massacrati in cifre che il regime tiene ancora nascoste. Lai decise allora da che parte stare. Ma al potere arrivò, dal 2013, Xi Jinping e con lui quel neo-post-maoismo che, un gran boccone dopo l’altro, prese a divorare anche la libertà di Hong Kong. Lai cominciò a mettersi nei guai nel settembre 2014, sostenendo con trasporto e tanti denari la «rivoluzione degli ombrelli gialli», detta così perché i manifestanti per la democrazia non avevano altro per ripararsi dai lacrimogeni. Dopo 79 giorni di gloria, la polizia li travolse, arrestandone i capi. Lai e l’Apple Daily subirono intimidazioni e bombe molotov. Nel 2019 Hong Kong tornò a infiammarsi e Lai era ancora al fianco dei contestatori di quella proposta di legge sull’estradizione così rapace da mettere anche la persona più banale nelle grinfie della polizia rossa di Pechino. Il 28 febbraio 2020 fu arrestato per avere organizzato un’assemblea non autorizzata. Rilasciato poche ore dopo su cauzione, fu nuovamente incarcerato il 18 aprile con un’accusa analoga. Il fato di Hong Kong si compì il 30 giugno, con il varo della nuova legge sulla sicurezza nazionale. La impose d’imperio l’Assemblea nazionale del popolo di Pechino, caricatura di un parlamento e assise totalmente prona a Xi Jinping, che ignorò bellamente l’ultimo residuato della speciosa autonomia di Hong Kong, il Consiglio legislativo dell’isola, ossia la sua assemblea monocamerale. Lai aveva le ore contate. Il 10 agosto fu ancora arrestato, stavolta per fumose intelligenze con potenze straniere. Poche ore dopo, 200 poliziotti irruppero nell’Apple Daily, sequestrando di tutto.
L’editore uscì su cauzione, ma il 2 dicembre finì di nuovo dentro per violazione dei termini di scarcerazione su cauzione, una montatura. La normalizzazione delle accuse a suo danno, l’11 dicembre, ne fece la prima vittima eccellente della nuova legge liberticida hongkongese. Ottenuti i domiciliari, tornò dietro le sbarre il 31 dicembre per il ricorso del ministero della Giustizia dell’isola contro la sua scarcerazione. Persino in carcere è stato arrestato ancora, il 16 febbraio 2021, sempre per violazione di quella legge micidiale. Da quel momento le incriminazioni e le sentenze a suo carico diventano legione. La più recente è del 10 dicembre dell’anno scorso: cinque anni e nove mesi, più una gran multa, per uno dei tanti casi farlocchi di frode di cui è stato accusato. Intanto l’Apple Daily, bastione della libertà, ha chiuso i battenti il 24 giugno 2021, e in giro anime belle a stracciarsi le vesti non se ne sono viste.
POCHE PROTESTE
Il Comitato per la protezione dei giornalisti, che ha sede a New York, e una decina di giornali si sono rivolti al premier britannico Rishi Sunak chiedendogli di agire ora in favore di Lai. La Ong Hong Kong Watch, fondata da Benedict Roger, e altre 66 hanno scritto al presidente statunitense Joe Biden una lettera analoga. Ma il nostro è un mondo dove vincono i cattivi, ricchi di denaro e tracotanza. A Xi Jinping i giornalisti che difendono altri giornalisti fanno il solletico. Jimmy Lai ha 75 anni. Xi, e John Lee Ka-chiu, capo dell’esecutivo di Honk Kong, e la signora Carrie Lam, suo predecessore, due marionette nelle mani di Mangiafoco, lo vogliono morto in carcere. Il mondo ricorderà Jimmy Lai dopo, quando sarà tardi.
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