Vladimir Putin? Nella foto, una conferma: si è ridotto a vassallo della Cina
Ieri al cosmodromo di Vostochny, estremo Oriente meridionale della Federazione Russa, si sono incontrati due capi regionali. Da qualche parte a Pechino, il capo dei capi sogghignava nel suo ufficio. È una sintesi romanzesca, ma non infedele, del vertice prolungato, circa cinque ore, tra Vladimir Putin e Kim Jong-un. Il terzo attore, quello assente eppur protagonista, è ovviamente Xi Jinping, ma procediamo con ordine. La visita del monarca neostalinista (perché questo è Kim, un apparente nonsense che spiega bene la spettrale particolarità del totalitarismo nordcoreano), di fatto un paria internazionale, è stata celebrata come un evento diplomatico straordinario, e già questo la dice lunga sullo stato di necessità della “potenza” russa. Putin ha accolto calorosamente l’ospite, diciamo molto più calorosamente di quanto ci abbia abituati il protocollo del Cremlino, al temine del bilaterale ha proposto «un brindisi per il rafforzamento dell’amicizia tra i nostri Paesi» e confermato che ci sono «prospettive» per una «cooperazione» significativa anche in campo militare.
Al di là dei salamelecchi verbali e del linguaggio non verbale (che pure hanno un loro ruolo), la ciccia sta tutta qui, in quest’allusione stringata. Come ha anticipato la stampa americana e ripreso l’agenzia Reuters, Putin punta all’arsenale di Kim, in particolare alla grande scorta di munizioni d’artiglieria e razzi perlopiù copie di quelli di era sovietica, quindi compatibili con le dotazioni dell’esercito russo, per continuare la mattanza in Ucraina. In cambio, Mosca aiuterà Pyongyang a sviluppare tecnologia satellitare (come Putin ha confermato dal cosmodromo: «È esattamente il motivo per cui ci troviamo qui») anche allo scopo di migliorare, questo è il non-detto registrato da qualunque osservatore, le potenzialità nucleari dell’alleato.
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SCAMBIO ALLA PARI
Insomma, uno scambio alla pari: questo è il nocciolo, al netto delle veline reciproche, dell’incontro tra Putin e il piccolo macellaio che tiranneggia sulla parte settentrionale della penisola coreana ridotta a lager a cielo aperto, e già in quel “alla pari” rimbomba tutta la disfatta strategica russa. Di più, e peggio: si tratta di uno scambio in cui il «compagno presidente» (come lo ha chiamato Kim restituendo il brindisi, con lessico che suonerà ideologicamente benissimo al terzo in ascolto, il tizio a Pechino) è apparso decisamente come il contraente più bisognoso dell’altro, perlomeno nell’immediato. Lo Zar di tutte le Russie finisce sullo stesso piano di un dittatore orientale di seconda fila, che sostanzialmente rappresenta nell’arena mondiale la bad company del regime cinese, di più, che non starebbe in piedi (anzitutto economicamente) senza il regime cinese.
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La foto tristemente allegra di Putin e Kim appaiati, i toni usati (il secondo che si permette di garantire «sostegno nella lotta contro l’imperialismo e nella costruzione di uno Stato sovrano», parole amicali che paiono una sconfessione integrale dell’autonomia strategica dell’amico), la stessa parità manifesta nello scambio: tutta la giornata di ieri sottintende, sotto l’isteria della cronaca e dei lanci d’agenzia, uno smottamento storico epocale. Per dirla brutalmente, si tratta della rinuncia definitiva della Russia al rango di potenza mondiale, e del suo assorbimento definitivo nella Sinosfera, uno dei due grandi blocchi attorno a cui si va ridisegnando la pur frastagliata contemporaneità (l’altro è l’Anglosfera, l’Europa continentale persevera ad essere quel “nano politico” di cui parlava Kissinger e balbettare in mezzo ai due vasi di ferro).
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LO SCACCHIERE DEL PACIFICO
Ieri si sono incontrati due vassalli di Xi Jinping, questa è la notizia che durerà più di ventiquattr’ore. Attraverso il suo vassallo storico, il Dragone comunista può aiutare militarmente la Russia senza compromettersi ufficialmente. Attraverso il suo vassallo di recente acquisizione, può irrobustire la forza della Corea del Nord, essenziale nello scacchiere che più interessa, quello del Pacifico (non a caso Kim ha celebrato la giornata facendo sparare un paio di missili balistici nel Mar del Giappone). Tutta manna per contrastare le “forze egemoniche” citate dallo scudiero nordcoreano, ovvero l’America. C’è solo una grande domanda: cosa resta della storia, delle cultura, della stratificazione imperiale russa, con questo vassallaggio ormai esplicito nei confronti di Pechino? Ben poco, ma Vladimir Putin ha questioni più prosaiche da sbrogliare, come sopravvivere.