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Spagna, la sinistra se perde va al governo

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Carlo Nicolato
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La sinistra perde le elezioni e poi governa. La regola aurea italica sembra possa essere adottata presto anche dalla Spagna dove il trasformista socialista Sanchez è da giovedì diventato il più papabile candidato a succedere a se stesso grazie all’appoggio, non certo gratis, dei separatisti catalani (e alla dabbenaggine della destra che non riesce a mettersi d’accordo su nulla). Il quasi colpo di grazia alle illusioni di chi avrebbe voluto un sano avvicendamento democratico alla Moncloa è arrivato con l’elezione della socialista FrancinaArmengol alla presidenza del Congresso, di per sé nulla di strano, dal momento che al Senato è stato eletto il popolare Pedro Rollan, ma in realtà si tratta dell’incontrovertibile segnale che le trattative tra il Psoe e Junts sono attualmente molto avanzate.

 

 

 

L’ex governatrice delle Isole Baleari ha ottenuto 178 voti a favore su 350 totali battendo con largo margine il popolare Cuca Gamarra che senza il supporto di Vox si è fermato a 139. La destra ha votato il suo candidato dopo che di fatto i popolari hanno fatto saltare una bozza di accordo basata sul presupposto che i catalani non avrebbero appoggiato, almeno in questa fase, i socialisti. Una presunzione rivelatasi errata, che ha spinto i popolari a ritirarsi da qualsiasi trattativa con Vox il cui voto tuttavia non sarebbe stato sufficiente a far ottenere la maggioranza a Gamarra. Tutto azzerato dunque per la destra e, anche se la volontà popolare è evidentemente quella che la Spagna sia governata da qualcuno che non sia Sanchez, è molto probabile che la sfacciata scaltrezza di quest’ultimo abbia la meglio. L’eventuale svolta è comunque dovuta al partito del fuggitivo Puigdemont e dai suoi ricatti ai quali i socialisti, pur di rimanere saldamente ancorati alle loro poltrone, si stanno piegando.

 

 

 

Come sia Junts che ERC, l’altro partito catalano indipendentista, hanno rivelato la stessa mattina delle votazioni, in cambio dell’appoggio il Psoe si sarebbe impegnato a far votare al Congresso l'uso del catalano, del basco e del galiziano, a istituire nuove commissioni d'inchiesta e a continuare il processo di “desjudicialización” del conflitto politico «con tutti i mezzi legali possibili», ovvero quella che tutti hanno interpretato come un'allusione alla possibile completa amnistia in favore degli indipendentisti catalani ancora nei guai con la giustizia. L’uso di tre nuove lingue al Parlamento spagnolo costringerebbe peraltro le istituzioni europee ad adattarsi di conseguenza con l’assunzione di nuovi interpreti e traduttori. Una piccola spesa aggiuntiva di cui non sentivamo certo la mancanza. Junts sostiene che per il governo i giochi non sono fatti. Ma non ci crede nessuno, nemmeno ovviamente quelli di sinistra, e i loro giornali, che già cantano vittoria per l’affermazione di quello che viene definito «blocco progressista».

 

 

 

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