K2, "non era equipaggiato": sherpa morto in vetta, la norvegese si "spiega" così
Scalavano il K2, il secondo picco più alto del mondo e il più pericoloso. Ma spinti dalla foga, un gruppo di 50 alpinisti ha ignorato che c’era uno sherpa pakistano, riverso a terra e morente: erano sul Bottleneck, il "collo di bottiglia" a 8.200 metri di altezza su sullo strapiombo, che si è costretti ad attraversare in fila indiana per arrivare alla vetta. Dopo ore di agonia l’uomo, 27 anni e tre figli piccoli, è morto e il terribile sospetto, rilanciato da qualcuno che era sulle vette, è che nessuno abbia fatto nulla per salvarlo. Adesso, è stata lanciata una raccolta fondi per sostenere la famiglia del pakistano e, in poche ore, sono stati raccolti 92mila euro.
Scansano il corpo dello sherpa e lo lasciano crepare: orrore sul K2
L’incidente sulla vetta, alta 8.611, è stato catturato in video girato da un drone. Mohammad Hassan era un facchino pakistano ed è caduto mentre montava le corde per gli scalatori che pagano migliaia di dollari per arrivare in vetta: è rimasto appeso a testa in giù, intrappolato dalle funi, probabilmente con la maschera d’ossigeno rotta. "Quest’uomo era ancora vivo mentre una cinquantina di persone lo oltrepassavano", ha raccontato Philip Flaemig, il cameraman austriaco che ha filmato la scena terrificante usando un drone.
Si lancia nel vuoto e si schianta sulla scialuppa, poi la rissa: la crociera finisce in disgrazia
Ha già reagito alla pioggia di critiche e polemiche scoppiate nel mondo dell’alpinismo Kristin Harila, la norvegese che da settimane era impegnata nella discutibile impresa di completare la scalata delle 14 più alte vette del mondo in meno di tre mesi, con il supporto di innumerevoli sherpa ed elicotteri che l’hanno trasportata da un campo base all’altro. Ha tentato di giustificarsi: "È stato un tragico incidente", ha detto, assicurando comunque che lei e gli altri membri della spedizione hanno cercato per un’ora e mezza di aiutare la vittima, in condizioni meteo che erano proibitive. "È caduto su quella che è la parte più difficile della montagna. Il mio cameraman è rimasto un'ora con lui per prendersene cura. In nessun momento è stato lasciato solo. Non era equipaggiato adeguatamente per affrontare un Ottomila".