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Francia Repubblica assolutista: solo l'élite e la plebe

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Francesco Carella
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La Francia è in fiamme. La morte del giovane Nahel per mano di un agente di polizia sta scatenando l’inferno in gran parte del Paese. Il presidente Emmanuel Macron sa di camminare in queste ore sulle braci, dove ogni scintilla potrebbe alimentare una guerra in parte già fuori controllo. Non si esclude che l’Eliseo possa dichiarare da un momento all’altro lo stato di emergenza nazionale.

GILET GIALLI

La rivolta degli ultimi giorni, per la verità, non rappresenta nulla di nuovo. Essa si colloca in perfetta continuità con altre manifestazioni consumate negli anni scorsi. Si va dalle proteste del 2005 che misero a ferro e fuoco molte città (dopo la morte di due ragazzi rimasti fulminati in una cabina elettrica dove si erano nascosti per sfuggire alla polizia) alla violenta ribellione dei gilet gialli del 2018 fino a giungere alle sommosse di pochi mesi fa contro la riforma delle pensioni.

Del resto, è ancora vivo il ricordo dei gravissimi episodi del 2009 quando la rabbia popolare sfociò nel sequestro dei dirigenti di alcune aziende con la conseguenza che molte fabbriche furono costrette a chiudere i cancelli e a bloccare la produzione.
Nessuno ignora che si tratta di episodi legati alla cronaca a partire dal clamoroso fallimento del processo d’integrazione degli immigrati confinati irresponsabilmente nelle Banlieu. Coloro che leggono gli accadimenti in un contesto di lunga durata sanno, però, che vi è un filo robusto che unisce tali avvenimenti alla storia politica francese. Ci troviamo dalle parti delle antiche Jacqueries, nate in Francia nel maggio 1358, ma che in momenti di particolare tensione politico-sociale continuano a manifestarsi ancora oggi attraverso rivolte dal forte carattere violento. Il problema, a questo punto, è capire perché simili movimenti distruttivi siano nati e continuino a farsi sentire in Francia e non, con la medesima carica, in altri Paesi europei.

Per il politologo Yves Mény la matrice storica di tale anomalia è nel fatto che «la Francia deve fare i conti con un problema secolare rappresentato dalla debolezza delle strutture di mediazione fra popolo e potere centrale. Fin dal Seicento, sbagliando, la monarchia francese si adoperò per ridimensionare le funzioni che su questo terreno avrebbero potuto svolgere l’aristocrazia, la Chiesa e le varie organizzazioni corporative». Né in tal senso, le cose presero un cammino diverso con la Rivoluzione del 1789.

 

 

 

TERRORE RIVOLUZIONARIO

Nel 1791, in nome dell’Interesse Generale, fu emanata addirittura una legge che proibiva qualunque associazione che intendesse tutelare gli interessi particolari. È solo nel ’900 che un tale vuoto di comunicazione fra «popolo e potere» viene colmato con l’affermazione sulla scena pubblica sia dei partiti, soprattutto di sinistra, che dei sindacati. Ora, come si sa, quel ruolo di raccordo con la crisi della rappresentanza politica è stato fortemente ridimensionato. Si pensi al Partito socialista, una realtà quasi scomparsa dalla scena pubblica francese, e ai sindacati ridotti a rappresentare appena l’8% degli operai. Talché si ritorna, con un balzo all’indietro lungo molti secoli, a protestare secondo l’alfabeto delle Jacqueries ovvero si manifesta in modo diretto e violento senza che alcun soggetto politico organizzato possa esercitare una minima azione di freno e di controllo oltreché di mediazione con il potere centrale. Se la crisi della rappresentanza politica come sostiene lo storico Pierre Rosanvallon- è destinata a riguardare tutte le democrazie liberali, quel che oggi accade in Francia non può che essere preso come campanello d’allarme dagli altri Paesi occidentali. 

 

 

 

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