Visegrad, l'esperto: "Il patto con l'Ungheria traballa", scenario-choc
Con l’Ucraina e contro la Russia, fermamente ancorata alla Nato e all’Unione europea. E però anche contro i tentativi della stessa Ue di ridimensionare la spinta sovranista, per esempio attraverso un patto comunitario sul diritto d’asilo e le migrazioni. In queste ore la Polonia trasmette l’immagine di una nazione preoccupata e contrariata. Preoccupata per l’arrivo nella confinante Bielorussia di migliaia di mercenari della milizia russa Wagner al comando di un Evgenij Prigozhin caduto in disgrazia agli occhi del Cremlino; e contrariata con Bruxelles su profughi e migranti. La Wagner al confine con la Russia Bianca fa sentire Varsavia sempre più avamposto occidentale del Patto atlantico. Delle ansie polacche e delle prospettive politiche e di sicurezza di tutto il fianco orientale di Nato e Ue nei mesi del conflitto russo-ucraino, Libero ha parlato con Michal Baranowski, direttore dell’ufficio Est del German Marshall Fund of the United States, esperto di sicurezza e difesa nella regione.
Che senso ha avuto la marcia, poi abortita, della Wagner su Mosca?
«È stato un tentativo di Prigozhin di prevalere sui suoi rivali, il ministro della Difesa Shoigu, sul capo di stato maggiore Gerasimov e sull’apparato di intelligence russi, ma gli è mancato il supporto politico a Mosca e ha finito solo per indebolire l’immagine di Vladimir Putin».
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Il contributo della Wagner alla guerra contro Kiev è ancora importante?
«Noi sappiamo che la forza mercenaria ha perso parte della propria forza d’impatto non foss’altro perché Prigozhin e i suoi più stretti collaboratori si sono allontanati dal fronte (per negoziare l’integrazione dei mercenari nelle forze russe o la loro permanenza in Bielorussia, ndr). Questo rappresenta una finestra d’opportunità per i militari ucraini».
Quanto sono preoccupati i polacchi per la presenza dei mercenari in Bielorussia?
«Il timore è soprattutto che Mosca minacci una tattica ibrida verso la Polonia e i Paesi Baltici. Quanto il rischio sia realmente grande lo sapremo solo dopo aver stabilito quanti miliziani della Wagner si fermeranno in Bielorussia, e quanti altri si rimetteranno sul mercato globale dei mercenari. Dei diecimila arrivati nel Paese non credo che più della metà resterà a Kiev e dintorni. La Nato sta monitorando e dovrà poi decidere se rilanciare la propria presenza nella regione - (pochi giorni fa il ministro della Difesa della Germania Boris Pistorius si è detto disponibile ad aumentare la presenza tedesca in Lituania da 1.000 a 4.000 effettivi, ndr)».
Ma la Nato si può fidare della Polonia, attraversata a volte da sentimenti antioccidentali?
«Per i polacchi oggi è molto chiaro che la minaccia arriva da Est. Nel frattempo la spesa per la Difesa salirà quest’anno ad almeno il 3,3% del Pil pero poi puntare verso il 4% e il consenso è bipartisan. Noi polacchi ci sentiamo come una fortezza sul fronte nordorientale dell’alleanza».
Come cambia l’atteggiamento sul confine con la Bielorussia?
«Da oltre un anno (da quando Minsk a fine 2021 spinse migliaia di profughi siriani sul confine con la Polonia per creare un incidente con Varsavia, ndr) stiamo rafforzando tutta la linea di confine e preparandoci sia ad azioni ibride sia ad azioni militari vere e proprie. In altre parole, la Polonia è in preallarme sul confine con la Bielorussia da ben prima dell’arrivo della Wagner nella regione. Noi siamo pronti"
Ma sui profughi la Polonia è più vicina all’Ungheria che all’Ue: il fronte orientale è compatto o no?
«È vero: c’è stato un veto del governo alla ridistribuzione europea dei profughi, ma guardiamo all’apertura del governo e della società nei confronti dei profughi ucraini: dallo scoppio della guerra sono passati per la Polonia in oltre nove milioni e due milioni di loro si sono fermati. E anche al di là della retorica antistranieri, il governo polacco del partito PiS ha permesso l’ingresso nel paese di decine di migliaia di lavoratori extra Ue. È un atteggiamento politico a fini elettorali che nasconde un grande pragmatismo e che non ha niente a che vedere con l’atteggiamento pro-russo dell’Ungheria in tema, per esempio, di sanzioni o di sostegno all’Ucraina. Questa sì che è una sfida per il fronte orientale ed è un tema che sta trasformando il gruppo dei quattro di Visegrad (il V4 con Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) in una Visegrad 3+1».
Se risaliamo più a nord sullo stesso fianco orientale si arriva in Svezia: ce la farà Stoccolma a entrare nell’alleanza Nato o prevarranno le resistenze della Turchia?
«Sull’ingresso della Svezia nel patto atlantico non ci sono dubbi: certo, sulla base degli eventi più recenti (un nuovo rogo del Corano in Svezia, e nuove proteste turche, ndr) forse non ci si arriverà entro il vertice Nato di Vilnius dell’11 luglio. Ma è solo una questione di tempo. Noi, assieme ai baltici, consideriamo Svezia e Finlandia entrambi cruciali per la difesa della regione. Né va dimenticato che Stoccolma e Helsinki guardano alla Russia con gli stessi occhi con cui guardiamo noi. Vedono la stessa minaccia e sanno come affrontarla anche molto più a nord di noi».
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