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Ucraina, "ecco quando vincerà": cosa sa l'esperto americano

Francesco Carella
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«Dopo lo schiaffo di Prigozhin, Putin punterà ad inasprire il conflitto con Kiev. Che l’Occidente ne prenda atto. Le armi la faranno ancora da padrone». Elliot Abrams scandisce le parole con la chiarezza che appartiene a coloro che frequentano da molti decenni i dossier internazionali più scottanti. Infatti, il professore, di cultura neocon, è stato consigliere di Ronald Reagan per otto anni ed assistente speciale di George W. Bush. Subito dopo l’attacco alle Twin Towers fu chiamato alla Casa Bianca dove ricoprì il ruolo di direttore senior del Consiglio di sicurezza nazionale. Ora è membro del Council on Foreign Relations, uno dei più influenti think tank americani e insegna alla Georgetown University. Le notizie che giungono dal fronte russo-ucraino, anche per le zone d’ombra circa quanto accaduto nei giorni della rivolta, si fanno sempre più inquietanti. Abrams segue dal suo studio del CFR gli eventi e non nasconde un certo pessimismo. Dice: «Non vi è dubbio che dalla ribellione della Wagner lo “zar” ne esca più debole. Non fosse altro che per le modalità con cui l’esercito dei mercenari ha potuto agire, avanzando per parecchie centinaia di chilometri verso Mosca senza incontrare una particolare reazione da parte delle forze regolari».

La qual cosa conferma che al vertice politico-militare di Mosca vi sono divisioni di non poco conto.
«Del resto, non occorre essere dei grandi esperti di strategie militari per capire che un’azione come quella messa in campo da Prigozhin non s’improvvisa in un giorno, ma richiede un’organizzazione capillare lunga e complessa. La riflessione che tutti in queste ore avanzano è come abbiano fatto i funzionari dell’intelligence russa a non accorgersene. Qui siamo dalle parti della zona d’ombra di cui parlavamo».

Alla luce di quanto accaduto sul campo e tenendo presente gli aspetti poco chiari di una serie di notizie che trapelano dal Cremlino quali scenari dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi?
«Sono convinto che l’attuale debolezza di Vladimir Putin rappresenti un elemento di grave pericolo per l’Ucraina. Putin d’ora in avanti sarà meno disposto ad aprire un tavolo di negoziazione, per paura che ciò lo faccia apparire ancora più debole».

La sento pessimista. Che cosa pensa che possa avvenire?
«Mi aspetto pochi cambiamenti per quanto riguarda il fronte ucraino. L’unica certezza che ho è che la guerra continuerà».

Non sta trascurando il ruolo che potrebbe essere giocato dall’Occidente, in primo luogo dagli Stati Uniti?
«È mia convinzione che la variabile chiave nei prossimi mesi sicuramente decisiva - sarà il sostegno occidentale all'Ucraina. Sostegno, però, che deve assolutamente cambiare marcia».

Si spieghi meglio.
«Quello che voglio dire è che la situazione di stallo sul terreno militare è esattamente il risultato finale di un aiuto parziale fornito alle forze ucraine dall’Occidente. Chi maneggia i dossier sa che i sistemi d’arma continuano ad essere consegnati a Kiev con grande ritardo. Tutto ciò è avvenuto fin dalle prime settimane di guerra. Gli aiuti sia da parte degli Stati Uniti che da parte europea sono indispensabili e devono continuare, ma a Zelensky vanno inviate armi più sofisticate e con maggiore solerzia». 

Intanto alla Casa Bianca si sta valutando la possibilità di inviare missili a lunga gittata. «È la strada da percorrere. La politica seguita da Joe Biden sugli aiuti militari all’Ucraina è stata giusta, ma finora è stata troppo lenta per risultare davvero efficace». Non pensa che un’esasperazione sul campo possa fare rischiare al mondo una guerra totale? Dopotutto in Russia ci sono sette-ottomila testate atomiche.
«Escludo questa evenienza. Vladimir Putin, come qualcuno crede, non è per nulla pazzo. Egli ha soltanto un obiettivo: la sopravvivenza del suo regime e la salvaguardia del suo potere. Una guerra totale gli porterebbe via tutto».

Vi è un convitato di pietra in questo conflitto: la Cina. Qual è l’interesse cinese?
«Non ci sono interessi cinesi diretti in questa guerra. L’atteggiamento della Cina, improntato a un certo distacco dipende dal legame personale che negli ultimi tre anni si è creato tra Xi Jinping e Putin. Il leader cinese perderebbe la faccia se Putin dovesse essere sconfitto e ancora di più se venisse detronizzato. È nell'interesse di Xi aiutare Putin ad uscire vincitore da questo conflitto».

Un’ultima domanda. Lei ha scritto pochi giorni fa che Prigozhin, paradossalmente, ha salvato Taiwan dall'invasione della Cina. Potrebbe spiegare questa idea?
«Penso che l'incidente Prigozhin/Wagner stia facendo riflettere Xi Jinping sul fatto che è più facile iniziare le guerre che prevedere come andranno a finire. La speranza è che Xi si renda conto, in tal modo, del rischio che farebbe correre al suo Paese».

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