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Russia "frazionata e isolata": lo scenario che preoccupa Putin

Carlo Nicolato
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Il più grande errore di Putin non è stato quello di delegare una parte consistente della guerra in Ucraina a una nutrita banda di mercenari, e quindi di armarli e di renderli più forti e combattivi, ma quello di affidare alla stessa Wagner quel che restava della politica imperialista russa, in particolare in Africa, in Medio Oriente e quindi nel Mediterraneo. Questo significa che comunque vada a finire la “sfida” al limite della guerra civile tra il Cremlino e Prigozhin, che il primo riesca a contenere l’avanzata dei mercenari e ad annientarli o che il secondo riesca in qualche modo a vincere, la Russia ne uscirà a pezzi, ridimensionata nelle migliori delle ipotesi, definitivamente ridotta a potenza regionale, perfino isolata dal resto del mondo come una gigantesca Corea del Nord a cui rimane l’unico pericoloso vezzo della bomba atomica.

 


La Wagner è presente in Siria e in Libia, ha combattuto l’Isis e con le sue armi tiene in piedi il generale Haftar, rivale di Tripoli. In Nord Africa controlla buona parte del traffico degli immigrati che poi approda sulle nostre coste. Nel resto del continente, i mercenari di Prigozhin hanno aperto la strada alla tela diplomatica tessuta dall'eterno ministro degli esteri russo Lavrov, in Mali hanno recentemente sostituito i soldati francesi controllando di fatto uno dei Paesi più importanti per la lotta al jihadismo, rotta obbligata per i migranti subsahariani. La Wagner è certamente presente in Burkina Faso, nella Repubblica Centrafricana, in Sudan, in Congo, in Angola, in Mozambico e in Zambia, dove Mosca ha raggiunto un accordo per la costruzione di una centrale nucleare. Senza tale organizzazione Mosca non sarebbe alleata con l’Etiopia e il Sud Africa. Se Putin dovesse distruggere la Wagner, disarmarla, processare Prigozhin, incarcerarlo o perfino farlo morire in carcere, dal momento che ufficialmente la pena di morte in Russia è stata bandita, è come se disarmasse la sua politica imperialista, come se decapitasse buona parte della sua politica estera.


In un attimo perderebbe il seppur fragile supporto militare su cui ha appoggiato la strategia espansionistica degli ultimi 10 anni. Nel caso più estremo potrebbe perfino trovarselo contro, milizie armate pronte a combattere contro gli interessi russi in Africa, in Siria e nel Mediterraneo. Mosca non ha la potenza militare ed economica per sostituire quei soldati con brigate regolari o addirittura combatterli, men che meno in questo momento in cui i suoi soldati in Ucraina si ritrovano di fatto in trappola, a ovest dalle truppe di Kiev e a est da quelle di Prigozhin. Se dovesse invece vincere quest’ultimo e conquistare il potere grazie a un’insurrezione popolare o un complotto del Cremlino (da solo non potrebbe mai farcela), le prospettive, al netto di un’implosione e di un frazionamento della stessa Federazione, cambierebbero radicalmente.

 

 

Mosca almeno per il momento, un momento che potrebbe durare decenni, dovrebbe ridimensionare radicalmente le sue velleità, riorganizzarsi sotto ogni profilo, da quello politico a quello militare, per non parlare di quello economico, dal momento che con ogni probabilità perderebbe buona parte delle alleanze che contano, in particolare quella con la Cina. Prigozhin sarebbe per prima cosa costretto a chiudere la guerra contro l’Ucraina, che sì ha combattuto, ma che non ha mai disprezzato come invece ha fatto con i vertici militari russi. Per non disperdere inutili energie sarebbe costretto a dimenticarsi dell’Africa e della Siria, a richiamare in patria i suoi mercenari. A meno di inusitate quanto improbabili svolte democratiche, la Russia dello “chef di Putin” sarebbe un enorme Stato isolato in cerca di una difficile identità, probabilmente dilaniato da lotte intestine, repressione e terrorismo di varia natura. In ogni caso il destino di Mosca è segnato, un’ineluttabile fine ingloriosa. 

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