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Alan Kuperman: "Guerra in Ucraina? Dietro all'inizio un errore della Nato"

Francesco Carella
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«Il Kosovo è come un vulcano attivo, può esplodere in ogni momento. Ed è ciò che sta accadendo in queste settimane fra la minoranza serba e la maggioranza albanese». Parole scandite con nettezza da Alan J. Kuperman, cattedra all’Università del Texas, esperto di conflitti etnici, autorità indiscussa nel campo degli studi sui Balcani. Le notizie che giungono dal Nord del Paese parlano di assalti ai commissariati di polizia nelle città di Zvecan e Mitrovica nord ( abitate in prevalenza dalla popolazione serba), mentre le autorità kosovare continuano ad impedire l’ingresso ai mezzi che trasportano merci provenienti dalla Serbia. Il professore c’invita ad andare oltre la cronaca, per meglio capire quel che sta accadendo. Dice: «Con l’indipendenza del Kosovo sono state messe altre fascine sul fuoco dei Balcani. Infatti, gli Stati Uniti insieme a molti Paesi europei hanno commesso un grosso errore nell’incoraggiare, prima, e nel riconoscere, dopo, la dichiarazione unilaterale d’indipendenza proclamata dal Kosovo nel 2008. Con quella decisione non solo in quell’area non è stato fatto alcun passo avanti per una convivenza pacifica fra serbi e albanesi, ma si sono create le premesse affinché le vecchie tensioni fra le due comunità aumentassero come non mai nel passato».

 

 

 

Lei in un suo recente saggio sostiene che quanto accaduto nella regione kosovara nel 2008 abbia legittimato, in qualche modo, la politica di aggressione condotta da Vladimir Putin.
«Sono convinto che gli avvenimenti di quei mesi abbiano fornito al leader del Cremlino un alibi potente per giustificare la sua politica scellerata nei confronti dei Paesi dell’ex Unione Sovietica. Del resto, è sufficiente consultare le date. Nel 2008 viene violata la sovranità della Georgia, nel 2014 Mosca si annette la Crimea, nel 2022 viene invasa l’Ucraina».

Si tratta di una tesi assai interessante. Ce la spieghi meglio.
«Quando i leader internazionali fanno scelte di corto respiro prima o poi sono costretti a fare i conti con gli effetti destabilizzanti che quelle azioni producono sul terreno geopolitico. E' quello che è avvenuto con l’avere accettato l’autoproclamata indipendenza del Kosovo dalla Serbia. In tal modo, fu violata la risoluzione Onu 1244 con la quale si sanciva la fine della guerra nel 1999 e si garantiva la sovranità e l’inviolabilità dei confini della Serbia, Paese, come si sa, alleato della Russia».

Vi erano strade alternative realisticamente praticabili?
«Gli Stati Uniti e l'Europa non avrebbero dovuto riconoscere l'indipendenza del Kosovo fino a quando non fosse stato raggiunto un mutuo accordo con la Serbia incentrato su una relativa autonomia, per evitare una traumatica spartizione territoriale. Un tale accordo avrebbe ridotto le tensioni tra serbi e albanesi ed evitato di inimicarsi la Russia. Sono convinto che se così fossero andate le cose, evitando accelerazioni inutili ed incaute, anche la successiva politica di aggressività russa avrebbe avuto un altro corso».

Intanto, la situazione in quella regione sembra di nuovo sul punto di esplodere. Che cosa impedisce la convivenza, di fatto, tra la maggioranza albanese e la minoranza serba?
«I serbi del Kosovo temono che la loro sicurezza non venga garantita dal governo di Pristina. In tal senso, il ricordo delle ripetute violenze perpetrate nei loro confronti soprattutto nel 1999 e nel 2004 è ancora assai vivo. Di qui la loro richiesta di vedere riconosciuta una parziale autonomia del Nord del Paese dove rappresentano la maggioranza della popolazione. In tal senso, Albin Kurti, alla guida del governo, non intende fare concessioni e prosegue sulla strada della centralizzazione politico-amministrativa. Le recenti elezioni di sindaci albanesi nei maggiori comuni serbi con una partecipazione al voto che ha superato di poco il 3% (la comunità serba ha disertato le urne per protesta) danno l’esatta dimensione dello scontro in atto. La pacificazione al momento appare molto lontana».

 

 

 

Vi è chi sostiene che dietro le proteste della minoranza serba ci sia la mano di Vladimir Putin. Qual è la sua opinione?

«Ho pensato a una possibile longa manus russa nel dicembre scorso, quando la Serbia avanzò la proposta di dispiegare propri contingenti militari nel Kosovo settentrionale per fornire protezione ai serbi presenti in quell’area. Si è trattato di una proposta senza precedenti che la Nato ha provveduto legittimamente a respingere con decisione».

Un’ultima domanda. Facilitare l'ingresso della Serbia nell'Unione Europea potrebbe aiutare il processo di pace?

«Sarei portato a rispondere positivamente soprattutto alla luce di ciò che è accaduto in molti Paesi dell’Europa centrale e orientale sul terreno delle riforme dopo l’entrata nell’Unione. Tuttavia, sarebbe probabilmente un suicidio politico per qualsiasi governo di Belgrado abbandonare i serbi del Kosovo. Credo, invece, che Bruxelles dovrebbe lavorare nella prospettiva di una adesione sia della Serbia che del Kosovo. In un contesto siffatto, potrebbe maturare una compromesso finalmente accettabile per entrambi». 

 

 

 

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