Ucraina, "se muoiono Putin e Zelensky": il dossier, scenari estremi
I documenti segreti del Pentagono trapelati nelle scorse ore, che contengono quattro opzioni per lo sviluppo del conflitto in Ucraina in circostanze "impreviste", come scrive il New York Times, sono quanto di più classico le grandi intelligence globali elaborano in scenari di crisi per far sì che gli addetti ai lavori possano prepararsi a ogni evenienza. Ma alcune delle ipotesi, in merito alla guerra, suggeriscono elementi più o meno probabili riguardo le eventualità basate sulla situazione attuale. Il NYT cita, tra gli scenari, la morte dei due leader, Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky, che potrebbero in modo diverso scatenare dei meccanismi capaci di portare alla fine del conflitto. Oppure, un attacco al Cremlino da parte delle forze armate ucraine, che comporterebbe al contrario una massiccia escalation, compreso l'annuncio di una mobilitazione generale in Russia e il possibile uso di armi nucleari tattiche.
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I timori da parte statunitense circa gli attacchi ucraini un profondità nel territorio russo fino addirittura a Mosca sono noti, e rappresentano anche il motivo per cui Washington si sia sempre rifiutata di fornire a Kiev i missili ATACMS con gittata fino a 300 chilometri. Ma dopo i vari colpi già scagliati e ufficialmente mai rivendicati dall'Ucraina, sia con droni, sia con operazioni di sabotaggio e sia con omicidi come quello di Daria Dugina e Vladlen Tatarsky, in Russia si aspettano nuove ostilità. Gli allarmi in vista delle celebrazioni del 9 maggio, che ricorda il "Giorno della vittoria" da parte dell’esercito sovietico sulle truppe naziste, si stanno moltiplicando. In alcune regioni, come la Crimea o territori al confine nord dell'Ucraina (Bryansk, ma anche Belgorod e Kursk), le parate non si terranno per motivi di sicurezza. Nella stessa Mosca, le misure di sicurezza saranno imponenti per il rischio attentati.
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Sì, episodi del genere potrebbero scatenare una reazione veemente da parte della Russia, che potrebbe comprendere una nuova mobilitazione. A tal proposito, il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha dichiarato ieri che la nuova legislazione sulla convocazione elettronica dei coscritti mira solo a snellire il sistema dei registri militari e non a introdurre una seconda ondata di chiamata alle armi come quella dello scorso autunno. Ma la Russia con questa mossa spera comunque di reclutare almeno 200mila nuovi soldati che potrebbero diventare molti di più se la situazione sul campo, ora bloccata su tutti i fronti eccetto Bakhmut (dove la PMC Wagner ha concentrato tutti gli sforzi grazie a un accordo col ministero della Difesa russo che ha permesso di impiegare più personale dell'esercito regolare intorno a Siversk e dirottare tutti i contractor sulla città mineraria ora controllata all'80%), dovesse peggiorare.
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SCENARI INATTESI
Un’ipotesi che ovviamente non piace nemmeno ai russi, che sperano piuttosto di uscire dal pantano grazie magari all’apertura di altri fronti in giro per il mondo, come a Taiwan (China Central Television ha riportato che Xi Jinping avrebbe notificato all’esercito cinese la necessità di rafforzare i preparativi per vere ostilità), o a un cambio di rotta nel supporto militare-finanziario ad oltranza dall’Occidente a Kiev, specie in Europa dove gli entusiasmi sono in calo da tempo. Pur sperando negli scenari inattesi, però, Mosca continua la tattica del logoramento, convinta di poter resistere a questi ritmi per almeno altri due anni, durante i quali il numero 1 della Banca Centrale, Elvira Nabiullina, dovrà fare i salti mortali per diminuire l'impatto delle sanzioni e permettere al governo di introdurre misure economiche espansive e fare deficit per combattere l'inflazione che mette in ginocchio le famiglie (è al 12%), la produzione industriale in calo (pompata dall'economia di guerra) e l’ammanco di introiti dall'esportazione di idrocarburi verso l'Europa. Il Pil russo per ora sta calando ma non come si aspettava l’Occidente (-2% nel 2022, seguito da un +0,3% nel 2023 come stima). Tra tutti i discorsi possibili, l'ipotesi di una tregua, invocata da ultimo dal ministro degli Esteri bielorusso, Sergei Aleinik, in visita in Ungheria ("Bisogna avviare i negoziati, prima è meglio è"), è ancora quella più remota.