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Cina, "la strategia dell'anaconda" contro Taiwan: ombre di guerra mondiale

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Il clima tra Cina e Taiwan rimane incandescente. Ancora martedì, il ministro della Difesa di Taipei ha rilevato la presenza di 8 navi da guerra e 26 jet nella regione. Operazioni definite dai media di stato cinesi "di routine", ma pronte a diventare "sempre più intense e orientate al combattimento". Anche se la guerra sembra comunque un'ipotesi remota, il timore è che da Pechino puntino a diminuire gli spazi di manovra. "Vogliono piano piano trasformare lo Stretto in un mare interno", conferma a La Stampa un funzionario della difesa. L'obiettivo? Il presidio della costa orientale. E non è un caso l'utilizzo della portaerei Shandong, in grado di ospitare da 24 a 32 aerei.

 

 

La Cina sta infatti tentando di aumentare le proprie capacità di controllare la via esterna verso il Pacifico. Solo da lì Taipei potrebbe ricevere aiuti dall'esterno. Tradotto: una sorta di stritolamento che tagli i rifornimenti, porti all'esaurimento le riserve energetiche e induca all'apertura di un negoziato politico per la negoziazione del grado di autonomia concesso all'interno del modello. Da qui il nome della "strategia dell'anaconda".

 

 

Tutto però dipenderà dagli Stati Uniti. Sono gli Usa secondo Pechino a portare da anni un'escalation diplomatica. A rassicurare, sempre nei limiti del possibile, ci pensa Lin Ying-yu dell'Istituto di Studi Strategici della Tamkang University. È lui a essere convinto che "un blocco navale potrebbe essere la futura strategia cinese". In ogni caso "le esercitazioni degli ultimi mesi dimostrano che la modernizzazione militare cinese procede spedita, manca però ancora qualche anno prima di poter sostenere un blocco totale o condurre un'invasione su larga scala, che sarebbe comunque solo l'extrema ratio". 

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