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Ppe, manette a Bruxelles: perché trema il partito della von der Leyen

Carlo Nicolato
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Le manette tintinnano ancora minacciose dalle parti del Parlamento Europeo. Stavolta gli investigatori belgi, insieme a quelli tedeschi, hanno fatto visita alla sede del Partito Popolare Europeo, il gruppo più grande di quelli rappresentati nell’aula di Bruxelles, in gran parte risparmiato fino a ieri dalla girandola di perquisizioni e arresti che nei mesi scorsi hanno coinvolto l’altro grande gruppo, quello dei socialisti, per il Qatargate. Gli investigatori, arrivati senza troppo chiasso e con un’auto civile in rue du Commerce, hanno concentrato le loro indagini al primo e al terzo piano da dove hanno prelevato alcuni computer e documenti. «La perquisizione è collegata a un'inchiesta in corso in Turingia, in Germania», ha assicurato successivamente un portavoce del Ppe in un comunicato stampa, «il Partito sta collaborando in piena trasparenza con le autorità, fornendo tutte le informazioni e la documentazione pertinenti. Poiché si tratta di un’indagine legale in corso, il Ppe non fornirà altri commenti». La dichiarazione ufficiale del gruppo è oltremodo prudente, e non dice tutta la verità, perché se è vero che l’inchiesta parte dalla Germania, in particolare la Turingia, è anche vero che nel possibile reato contestato rientrano personaggi che hanno fatto parte del gruppo, che hanno lavorato per il gruppo, e che addirittura il gruppo lo dirigono.

 

Ma andiamo per gradi. L’indagine in questione riguarda principalmente Mario Voigt, numero uno in Turingia della Cdu, il partito della presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, da sei mesi messo sotto inchiesta per corruzione dalla magistratura di Erfurt, la stessa che sotto Natale ha emesso il mandato di perquisizione europeo tradotto nei fatti solo ieri per motivi tecnici. I reati sarebbero risalenti al 2019 quando Voigt era stato assunto dal Ppe per dirigere la campagna elettorale digitale del partito. Si dice che sia stato proprio l’attuale capogruppo del partito Manfred Weber, nonché leader della Cdu in patria, a spingere sul suo nome. I due si conoscono da tempo e Weber aveva visto in Voigt la figura professionale ideale per svolgere il delicato compito. Secondo un portavoce dell’ufficio del pubblico ministero di Erfurt, capitale della Turingia, la ricerca di ieri riguarda principalmente un ordine effettuato dal Ppe presso un’agenzia Internet di Jena relativo alle elezioni europee. Il sospetto è che dopo l’attribuzione del lavoro lo stesso Voigt abbia ricevuto del denaro in cambio da tale agenzia. «Stiamo cercando tutto ciò che può essere utilizzato per classificare legalmente l’attività dell’imputato presso il Ppe», ha affermato sempre il portavoce di Erfurt. Il sito di informazione locale Mdr Thüringen sostiene però che se nel raid di ieri gli investigatori tedeschi erano accompagnati da quelli belgi non era solo per un atto dovuto, ma anche per un interesse specifico, quello di sapere esattamente per quanto tempo Voigt ha lavorato per il Ppe e quanto denaro ha ricevuto. In proposito il Ppe ha assicurato che il partito sta pienamente collaborando con le autorità, ma non ha voluto commentare ulteriormente il caso.

 

Dal canto suo Mario Voigt si è sempre dichiarato innocente. I suoi avvocati Nobert Scharf e Valentin Sitzmann hanno ripetuto ieri che le accuse del pm nei suoi confronti sono infondate e che l’evolversi dell’indagine si sta chiaramente rivelando inconsistenti. «La difesa ha criticato l’indagine fin dall’inizio come sproporzionata ed esagerata» hanno aggiunto senza volere entrare nei dettagli, «il nostro cliente non è colpevole di nulla». Il Ppe osserva e collabora ma al suo interno non si respira certo un clima rilassato. Il timore è quello di venire coinvolti in un turbine di indagini paragonabili a quelle che hanno coinvolto gli amici-avversari del Pse con il noto Qatargate. Proprio Weber ha cautamente evitato di infierire contro i socialisti ben sapendo che le stesse accuse avrebbero potuto da un momento all’altro essere rivolte contro il suo gruppo. «Le accuse di corruzione contro uno dei nostri più alti rappresentanti di questo Parlamento europeo hanno danneggiato in modo significativo la nostra istituzione e intaccato la fiducia delle persone nell’Unione europea nel suo insieme», aveva detto in una sessione plenaria del Parlamento. «Il danno alla democrazia europea è troppo grande per essere ora utilizzato per battaglie politiche di partito».

 

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