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Maternità surrogata, il bimbo muore prima dei 2 anni? "Un altro gratis"

Francesco Specchia
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A sfogliarle, di prim’acchito, sembrano le pagine apocalittiche de I figli degli uomini. Solo che il libro di P.D. James dove una razza umana voracemente infertile andava a caccia di nuovi nati era fantascienza distopica. Qua, invece, si tratta di un autentico catalogo in stile Postalmarket, in cui la formula «soddisfatti o rimborsati» avvolge di marketing rassicurante la pratica dell’utero in affitto. C’è quest’inquietante catalogo della società di avvocati di assistenza “global sulla maternità surrogata” Gestlife con sedi a Madrid e Barcellona e il cui sito (dato la pratica moralmente discutibile e giuridicamente vietata in Italia) da noi è oscurato. Ma, andando a ben cercare, in italiano, tra i vantaggi che «distinguono la nostra dalla altre agenzie» spicca il «punto 15». Il «punto 15» è certo commercialmente inappuntabile. Titola «garanzia di riavvio del programma in caso di decesso del bambino». Il punto 15 se ne sta incastrato tra altre clausolette contrattuali: roba tipo quella sui benefit, sull’«appartamento esclusivo e hotel di ottimo livello», e il «supporto psicologico», e la «conservazione delle cellule staminali e del cordone ombelicale di suo figlio» e la «copertura assicurativa», oltre al commovente regalo del «corredino del neonato».

 


IL PROGRAMMA
Il punto 15 recita: «A partire del 7° mese, tutte le agenzie ritengono che il programma sia stato realizzato in adempimento del contratto. Pertanto, nell’eventualità in cui il piccolo nasca prematuramente o muoia perderebbe il diritto ad avere il Suo bambino, oltre alla perdita economica relativa al costo del programma». E prosegue con tono trionfale: «Gestlife è l’unica azienda che copre questa terribile eventualità, assicurandole il riavvio del programma scelto in caso di decesso del nascituro entro il 7° mese e fino a 20 giorni dopo la settimana 36, senza nessun costo aggiuntivo». Per i clienti “Standard plus” e “Premium”, il riavvio è gratuito in caso di morte del bimbo nei primi due anni di vita. Cioè, oltre al motto «se non riesce a diventare genitore le restituiremo i soldi», la società inserisce nel contratto la garanzia che, se il bambino avesse un difetto di fabbricazione e ti nascesse morto; be’ te ne darebbero subito un altro.

 

 


Neanche fosse un’auto sostitutiva, o un fustino del Dash delle pubblicità degli anni 70. Soddisfatti o rimborsati. Una specie di assicurazione Casco del bimbo perduto. E, nell’ampio catalogo, s’aggiungono anche: le note sui finanziamenti in cinque comode rate; l’eventuale adozione da parte della madre contraente (ma soltanto qualora fosse necessario); la copertura dell’assicurazione di viaggio per ogni genere di spostamento. E «la cosa più importante: più di 250 genitori sono felici ogni anno, con noi realizzano il loro desiderio. Ogni anno un numero che fa poco rumore ma che esiste e testimonia il nostro successo». Gestlife, inoltre, postilla sul fatto di possedere un certificato conforme «con la Agenzia delle Entrate e la Previdenza sociale» italiane. Ma omette di informare che le sue sono pratiche assolutamente illegali nel Belpaese, e atte ad eludere leggi dello Stato italiano, e a violare sentenze rigide e inequivocabili della Carte di Cassazione, senza considerare lo stesso dettato costituzionale. Ma qui, ad impressionare, non è tanto l’atmosfera angelicata carica di sorrisi, di architetture lievi e di pensieri pastello che ci siamo abituati a vedere nelle serie tv americane. E neanche sono l’ espressioni “riavvio del programma in caso di decesso del bambino” che fa molto Matrix Reloaded (pure qui distopia che si fa carne). No.


ALLO STESSO PUNTO
A colpire l’immaginario di un italiano medio e noiosamente conservatore come il nostro, è il fatto che il supermarket del feto abbia un catalogo da società commerciale oramai dato quasi per scontato da stampa e istituzioni. Se ci mettete anche quell’altra pubblicità americana sull’iscrizione al database di donatrici di ovuli («Find an Egg Donor», tova il donatore di ovociti), be’, avrete un’idea della distonia eugenetica che riempie sempre più quei cataloghi; e che tende a lambire, quasi legittimandosi, qualsiasi discorso sull’infertilità o sui diritti civili. Sono oramai anni che denunciamo queste abiezioni. Nel 2012, su queste colonne, Andrea Scaglia vergò una delle prime dettagliate inchieste sugli uteri in affitto sul web «a 20mila euro», certificati irregolari e groviglio normativo compresi. Ne ha scritta un’altra solo pochi giorni fa. Sono cambiati soltanto i prezzi della madri affittate. Il nascituro resta sempre la clausola livida di un contratto, il premio di un’assicurazione. Più che al bene del bambino, si pensa al bambino come bene di consumo... 

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