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Mariupol, la mossa agghiacciante di Putin: dopo averla rasa al suolo...

Daniele Dell'Orco
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Nel tête-à-tête con Xi Jinping a Mosca, il presidente russo Vladimir Putin ha confessato di essere ammirato ma anche «un po’ invidioso» per i passi in avanti compiuti dalla Cina in questi ultimi due decenni. Prendendola in prestito, è la stessa massima che molti degli abitanti delle grandi città della regione di Donetsk su cui ormai campeggia il tricolore russo avrebbero voglia di utilizzare parlando con i cittadini di Mariupol. Lo scenario di una delle più sanguinose battaglie combattute tra Russia e Ucraina dall’inizio di quella che pian piano anche a Mosca stanno smettendo di chiamare «operazione militare speciale» è stato per mesi un ambiente post-apocalittico. Perché in effetti nella «città di Maria», in onore dell’imperatrice Marija Fëdorovna, seconda moglie del principe ereditario Paolo, poi zar Paolo I, l’apocalisse è arrivata per davvero. Oltre 300mila persone avevano abbandonato le loro case nelle settimane in cui la guerra è entrata fisicamente dentro i loro portoni, circa 20mila civili (una stima diffusa dalle autorità ucraine) sarebbero rimasti uccisi nella battaglia urbana, il 90% abbondante degli edifici della città ha subito danni parziali o totali.

AGLI ANTIPODI
La devastazione di Mariupol nel tempo è diventata un simbolo per entrambi i contendenti. Per Kiev è «la città martire». Nel corso degli anni era diventata la base operativa del famigerato Battaglione Azov ed è comunque rimasta sempre a poche decine di chilometri dal fronte anche prima dello scorso inverno. Un po’ tutto, dalla posizione strategica sul Mar d’Azov, alla prossimità con i territori controllati dai filorussi fino al vessillo azovita che la dominava, lasciava intendere che sarebbe stata tra le prime a dover assaporare le conseguenze di una eventuale resa dei conti. E difatti, stretta su tre lati dai russi in avanzamento, non è stata granché difesa dalle trincee perché è diventata essa stessa una trincea. Alla sua caduta il governo ucraino ha associato un forte messaggio di resistenza eroica trasmesso dai componenti del Battaglione Azov, rimasti barricati per settimane dentro l’acciaieria Azovstal prima di trattare la resa. Un esempio, nella visione di Kiev, dello spirito adamantino di tutto il suo esercito. Per Mosca è invece «la città vetrina».

La Russia da maggio 2022 ha iniziato a riversare a Mariupol miliardi di euro in investimenti, per provvedere a una ricostruzione lampo in grado di mostrare al mondo l’efficienza della Federazione e agli ucraini fuggiti e rimasti fedeli a Volodymyr Zelensky che tra le braccia della grande madre Russia si vivrà molto meglio. Anche per questo Vladimir Putin ha scelto Mariupol e uno dei suoi microdistretti nuovi di zecca come palcoscenico della sua prima visita nei territori del Donbass prima conquistati e poi annessi dai russi, suscitando un pizzico di invidia tra gli abitanti di Donetsk che l’info-war ucraina sta provando a cavalcare sperando si possa trasformare in un reale malcontento. Oggi, a meno di 8 mesi di distanza dall’ultima visita di Libero a Mariupol, le sensazioni trasmesse dall’ingresso in città si potrebbero riassumere in tre parole: vuoto, polvere e tranquillità. Tutte e tre nascondono un significato ossimorico. La prima: il vuoto non è più quello di un lugubre reticolato di viali fantasma bensì quello degli edifici che non ci sono più. Almeno 300 dei palazzoni sovietici anneriti dalle fiamme o distrutti in modo irreparabile sono stati rasi al suolo tanto che alcuni angoli sono difficili da riconoscere specie intorno alle arterie principali.

CANTIERI E POLVERE
E le demolizioni rappresentano tuttora una buona parte dei cantieri totali, al pari di quelli per il rifacimento del manto stradale crivellato dai colpi e per gli impianti per la trasmissione di luce, gas e soprattutto acqua (quasi beffarda l’immagine degli autolavaggi in funzione mentre per gli abitanti di altri agglomerati vicini come la stessa Donetsk l’acqua è un lusso da razionare). Loro producono la seconda parola chiave: la polvere. A molte delle migliaia di persone che sono tornate a Mariupol e che ora, secondo il sindaco insediato dopo la conquista russa, Oleg Morgun, hanno portato il totale a toccare quota 300mila abitanti (comunque il 40% in meno rispetto al pre-guerra) di cui 70mila sono soldati ma soprattutto lavoratori provenienti da tutta la Russia e dall’Asia centrale, è stata concessa o promessa un’abitazione. Per soddisfare la domanda, le grandi imprese russe che lavorano in partecipazione con le ditte locali hanno offerto ai manovali stipendi anche quattro volte superiori allo standard per partecipare alla ricostruzione di Mariupol (non mancano le lamentele circa i salari "reali" che non supererebbero gli 800 euro al mese a fronte dei 1600 promessi).

Si occupano sia di rimettere in sesto molti degli edifici danneggiati, con infissi nuovi, interventi murari per ricostruire tetti e solai, e ovviamente impianti, sia di ripristinare ospedali e strutture sociali, sia ancora di tirar su interi quartieri: quello visitato da Putin è composto da decine di edifici, alcuni pronti altri in fase di ultimazione, che avranno in totale 1.011 nuovi appartamenti in grado di ospitare 3mila delle persone rimaste senza un tetto. Di grandezza simile ne sono sorti, a poca distanza, altri due, ma il fiore all’occhiello del presidente russo, intitolato ad Aleksander Nevsky, al momento è l’unico che prevede una scuola (da ultimare) e un asilo (finito). Ecco la terza parola chiave: la tranquillità. Essendo ormai da 10 mesi una città nelle retrovie, Mariupol, tristemente nota nel mondo per l’immagine di morte e distruzione, oggi è per paradosso uno dei luoghi più sicuri di tutto il Donbass. I bambini sono così tanti che le scuole attualmente aperte non riescono a contenerli e devono alternare classi mattina e pomeriggio. I loro schiamazzi sereni nei parchi ai piedi dei nuovi e vecchi distretti sono suoni dimenticati in tante altre città vicine o in molti quartieri della stessa Donetsk che ogni giorno vengono raggiunti dai bombardamenti. Qua e là in giro per la città ci sono poi altri edifici nuovi e comprensori da una cinquantina di nuclei. Anche i commercianti stanno tornando a riaprire i negozi, per quanto l’arteria principale del commercio locale rimanga il mercato di strada con centinaia di banchi che avevano riaperto i battenti quando la battaglia per Mariupol non era nemmeno terminata.

I LUOGHI DELL’ORRORE
Infine, ci sono i dolorosi luoghi simbolo della guerra: il Teatro d’arte drammatica in cui perse la vita un numero imprecisato di civili (all’inizio si parlò di centinaia di morti, ora ne risultano confermate in modo non definitivo più di una dozzina) a causa di quello che non solo l’Ucraina ma anche organizzazioni come Amnesty International sostengono sia stato un bombardamento aereo russo mentre la Russia ritiene si sia trattato di un’esplosione di materiale bellico posto dai soldati ucraini al suo interno, è stato quasi totalmente demolito, a parte la facciata ora nascosta dalle impalcature che verrà recuperata; in fase di ultimazione invece il cantiere intorno al complesso dell’ospedale pediatrico (che non era terminato nemmeno prima della battaglia), quello in cui morì una donna incinta insieme al suo nascituro a seguito delle ferite riportate dopo un’esplosione (permane tuttora il solito copione di accuse reciproche sulla paternità dell’attacco). In totale, il piano di ricostruzione della città, inizialmente quinquennale, dovrebbe essere ritoccato al ribasso, visti i ritmi di costruzione e il supporto di una grande città russa gemellata con Mariupol come San Pietroburgo. Per conoscere invece il destino di megaprogetti di riqualificazione dei due grandi impianti siderurgici (l’Azovstal è una impressionante distesa di scheletri d’acciaio che copre un terzo del perimetro della città e solo per sminarla completamente serviranno anni), del porto e del lungomare servirà ancora tempo. Nulla cancellerà il suo passato fatto di guerra, morte e distruzione. Così come nulla convincerà mai la completa totalità degli abitanti di Mariupol che il futuro sarà meglio del passato. Ma, in tutta la sua caotica serenità, un passo alla volta, la città-sfoggio del Cremlino sta ritrovando la pace.

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