Emmanuel Macron è spacciato? Ecco chi può far rotolare la testa del galletto
”Liot”, un acronimo pressoché sconosciuto fino all’altroieri, ma che lunedì potrebbe essere decisivo per la storia politica francese. Liot, ossia Libertés, Indépendants, Outre-mer et Territoires, è il gruppo di venti parlamentari, centristi, socialisti ed ex macronisti, che ieri ha depositato una mozione di sfiducia contro il governo di Élisabeth Borne, in seguito all’approvazione senza voto in Parlamento della riforma delle pensioni (attraverso il ricorso all’articolo 49.3), e che è convinto di poter raccogliere una maggioranza allargata: dalla Nupes, l’opposizione di sinistra guidata dalla France insoumise di Jean-Luc Mélenchon, al Rassemblement national di Marine Le Pen, passando dai Républicains, il partito gollista.
«Faccio appello alla responsabilità di tutti i deputati per preservare la democrazia», ha dichiarato ai microfoni di BfmTv Bertrand Pan cher, capogruppo di Liot all’Assemblea nazionale. Anche il Rassemblement national ha presentato una mozione di sfiducia in solitaria, ma difficilmente, lunedì, verrà votata dagli altri gruppi, in ragione dell’ostilità profonda a fare qualsiasi cosa assieme alla destra sovranista. La mozione di Liot, invece, è stata già benedetta dai mélenchonisti, che hanno ritirato la loro per abbracciare l’iniziativa transpartitica.
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«Abbiamo deciso di dare le massime possibilità alla sfiducia e dunque di ritirare la nostra mozione di censura a beneficio di quella del gruppo Liot», ha spiegato su France Inter Jean-Luc Mélenchon, guru della France insoumise e della protesta anti-Macron. «Insisto solennemente: rifiutiamo la banalizzazione del 49.3. Se ieri abbiamo cantato la Marsigliese è perché non vogliamo che questa procedura si banalizzi», ha aggiunto il leader della sinistra radicale, facendo riferimento all’abitudine del governo, privo di maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale, di bypassare il voto dei deputati (giovedì, Borne ha azionato il 49.3 per la dodicesima volta dall’inizio del mandato).
APERTURISTI - Quando il giornalista di France Inter ha chiesto qual è il significato di una mozione votata da tutte le opposizioni riunite, anche dai “nemici” della destra sovranista, Mélenchon ha risposto così: «Nient’altro che il rifiuto del testo sulle pensioni a 64 anni. È quello che ha detto la Signora Borne ieri sera: ha detto che per approvare la riforma delle pensioni non bisognava votare la mozione di sfiducia. E cosa accadrà, allora, se la mozione verrà votata? La Signora Borne sarà costretta ad andarsene!», ha affermato Mélenchon.
Marine Le Pen, capogruppo di Rn all’Assemblea nazionale, aveva già anticipato alla viglia che gli 88 deputati sovranisti avrebbero votato «la totalità delle mozioni di sfiducia» in caso di utilizzo del 49.3 da parte del governo, dunque anche quella di Liot.
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UN PO’ DI NUMERI - Ma quante voci servono alla mozione di Liot per ottenere la maggioranza, ossia 287 voti (di solito ne servono 289, ma due scranni sono attualmente vacanti)? Secondo il conteggio dell’Obs, in caso di voto compatto dei lepenisti, della Nupes, dei membri di Liot e dei cinque deputati non iscritti ad alcun gruppo, si arriverebbe a 262. L’ago della bilancia, allora, potrebbero essere i deputati gollisti, che sono 61. «Vista la situazione, non vogliamo creare ulteriore caos. Ed è per questo motivo che abbiamo appena deciso in una riunione di gruppo che non voteremo alcuna mozione di censura», ha affermato il presidente dei Républicains, Éric Ciotti.
Ma non tutti sono d’accordo con il capo. Come Maxime Minot, deputato gollista dell’Oise: «Oggi è l’unico strumento affinché ci sia un vero voto su questa riforma delle pensioni».
Difficile, ma non impossibile che i franchi-tiratori gollisti facciano uno sgambetto al governo, a maggior ragione dopo le accuse di “tradimento” piovute dai macronisti, secondo i quali, se è stato utilizzato il 49.3, è solo per colpa dei Républicains. Nel frattempo, la piazza, aizzata dalle organizzazioni sindacali, si scalda per un’altra giornata di protesta nazionale, prevista per il prossimo 23 marzo. «Le mobilitazioni e gli scioperi devono allargarsi», ha tuonato Philippe Martinez, boss della Cgt, ossia il sindacato più radicale di Francia. Forti turbolenze in arrivo per la Francia di Macron.