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Putin, "dal successo al disastro": come vogliono umiliarlo

Vladimir Putin

Maurizio Stefanini
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Un anno dopo l’attacco di Putin all’Ucraina: ne parliamo con Aldo Ferrari. Docente di Lingua e Letteratura Armena, Storia della Cultura Russa e Storia del Caucaso e dell'Asia centrale presso l'Università Ca’ Foscari di Venezia, direttore del Programma di Ricerca su Russia, Caucaso e Asia Centrale per l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi) di Milano.

 

 

 

Ci faccia il punto sulla guerra.
«È chiaro che entrambe le parti hanno sbagliato i propri conti. La Russia, lo sappiamo molto bene, ha sopravvalutato la propria forza e sottovalutato quella dell’Ucraina e dell’appoggio occidentale all’Ucraina. Questo è un dato di fatto di cui noi siamo consapevoli. Allo stesso modo bisogna però dire che l’Occidente ha probabilmente sottovalutato la capacità della Russia di resistere alle sanzioni e di mantenere l’iniziativa, nonostante serie difficoltà e militari. Un altro dato che mi sento di mettere in rilievo è che da entrambe le parti è in corso una prolungata guerra di propaganda. Quella russa la percepiamo benissimo, naturalmente. Ma secondo me noi occidentali facciamo molta fatica a percepire che politicamente e mediaticamente quando affrontiamo questa guerra facciamo a nostra volta una vera e propria propaganda. Siamo diventati anche partecipi del lavoro propagandistico, come se fossimo schierati apertamente da un lato. Lo siamo, non militarmente. Ma quello che mi preoccupa è la perdita di lucidità. Si fatica, nella narrazione del conflitto, a distinguere ciò che è realtà e ciò che è propaganda. Terza cosa di grande rilievo, che dopo un anno non ci siano spiragli visibili per una trattativa diplomatica. L’unica azione consistente, anche se limitata, è stata portata avanti dalla Turchia. Ha avuto qualche risultato modesto, soprattutto nell’ambito del grano.. Sembra mancare completamente da entrambe le parti il desiderio e la volontà di evitare che la soluzione del conflitto avvenga solamente sulla base della forza delle armi».

Certi toni vengono dall’asprezza del dibattito, che diventa quasi guerra civile tra italiani...
«Sì, ma non dovrebbe essere così. Non siamo in guerra, non siamo bombardati, non dovremmo trascendere. Dovremmo mantenere una obiettività, per lo meno tendenziale, nei giudizi».

 

 

 

Al di là degli schieramenti, qualche analista che si sforza di rimanere al di sopra delle parti spiega che l’Occidente non può accettare che Putin sia premiato, perché si verrebbe a creare un precedente micidiale. D’altra parte, però, non si vedono alternative a Putin. Se Putin viene umiliato troppo, si crea un vuoto di potere micidiale.Quindi l’Occidente starebbe cercando in qualche modo quella soluzione giusta per permettere all’Ucraina di resistere senza far perdere la faccia a Putin. Un compromesso che però è complicatissimo...
«Direi che è impossibile. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. A mio giudizio, qualsiasi soluzione che costringa la Russia a ritirarsi dai territori che ha occupato, illegalmente, illegittimamente, violentemente, sarebbe comunque una umiliazione per la Russia. Quella che sembra essere una grande concessione nei discorsi che si stanno facendo, di lasciare alla Russia la Crimea e forse quella parte di Donbass che già occupava nel 2014, non è una soluzione di compromesso e onorevole che potrebbe non umiliare la Russia. La umilierebbe invece tantissimo, perché si tratterebbe di farle ammettere la sconfitta non solo politica ma anche militare che al momento non è ancora visibile. Teniamo anche conto del fatto che agli occhi del Sud del mondo noi occidentali quando ci mettiamo a stabilire ciò che è giusto o sbagliato lo facciamo molto spesso in maniera propagandistica».

Non c’è però anche un punto di vista ucraino che dovrebbe avere la precedenza?
«Naturalmente. Devono essere tenuti presenti tutti i punti di vista. Fino al 2004, però, tra la Russia e l’Ucraina non c’erano problemi politici. Avevano tranquillamente risolto i tentativi autonomisti della Crimea negli anni ‘90, avevano risolto la questione della base di Sebastopoli sulla base di un affitto concordato, i problemi sono iniziati quando in seguito alle cosiddette rivoluzioni colorate, in particolare quella dell’Ucraina nel 2004, il Paese è stato sospinto verso la Nato».

La questione armena è connessa a quella ucraina?
«L’Armenia sta subendo l’aggressione da parte dell’Azerbaigian in alcuni territori che fanno parte della repubblica d’Armenia, e un blocco agli armeni del Karabakh che va avanti ormai da due mesi senza che la comunità internazionale intervenga davvero. In una situazione in cui il principale, anzi l’unico protettore dell’Armenia, la Russia, è impegnato in una guerra al di fuori, l’Azerbaigian cerca di approfittare della propria superiorità militare per cercare di costringere l’Armenia a rettificare i confini a suo vantaggio e a riconoscere di aver perduto per sempre il Karabakh. Quindi l’Armenia è un’altra vittima della guerra scatenata dalla Russia in Ucraina. Sennonché mentre quello che avviene in Ucraina è evidentemente sotto gli occhi di tutti non è il caso di quanto sta accadendo tra l’Armenia e l’Azerbaigian. Sospetto che nella disattenzione dell’Italia vi sia anche un ruolo della nostra dipendenza dalle forniture energetiche dello stesso Azerbaigian. Come diceva Andreotti, a pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina».

 

 

 

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