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Biden, "l'obiettivo nascosto": cosa vuole davvero da Zelensky

Carlo Nicolato
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Per un bilancio del primo, e si spera ultimo, anno di guerra in Ucraina abbiamo sentito Gianandrea Gaiani, giornalista, direttore di “Analisi Difesa”, e uno dei massimi esperti del settore. «In termini militari» spiega Gaiani, «il conflitto può essere diviso in tre fasi. La prima è quando i russi hanno probabilmente sperato di fare un grande show militare attaccando con 150mila uomini su un fronte vastissimo, più di 1500km. Il progetto dei russi è fallito perché gli ucraini non hanno negoziato e la Nato è subito intervenuta. La seconda fase è quella che va dalla tarda primavera all’estate in cui la spinta russi si esaurisce perché si trovano in inferiorità numerica su troppi fronti e questo li induce prima a ritirarsi dal nord concentrandosi nel Donbass, ma anche lì subiscono le controffensive ucraine che sono quelle che portano alla riconquista del territorio di Kharkiv, dove i russi si ritirano in disordine, e poi a nord del Dnipro, nella zona di Kherson».

E Putin dichiara l’annessione dei territori con i referendum...
«È una mossa che stabilisce i termini sul quale la Russia potrà negoziare in futuro. Ma la seconda fase è anche la più difficile per Mosca, perché ci sono forti polemiche negli ambienti militari e in quelli patriottici dove queste ritirate vengono viste come un’ammissione di sconfitta e un’umiliazione. Le critiche vengono addossate tutte ai vertici militari per evitare in realtà di arrivare al Cremlino. In questa fase la guerra di Mosca diventa sempre meno una guerra contro gli ucraini e sempre più una guerra contro la Nato. Viene dipinta come la seconda guerra patriottica dopo quella contro il nazismo».

La fase tre?
«È quella che vediamo oggi, gli ucraini con l’obiettivo di non cedere terreno hanno sacrificato nel Donbass, nella zona di Soledar e di Bakhmut, le loro migliori brigate, quelle che si erano fatte le ossa in battaglia. Le hanno costrette a combattere in condizioni di svantaggio contro forze superiori, proprio perché i russi ritirandosi hanno potuto accorciare il fronte. La fase tre è quella che vede gestire la guerra più su principi politici: non si cede un metro, riconquisteremo pure la Crimea, dice Kiev. Qualcuno dice che la fase 4 potrebbe iniziare in primavera, un momento in cui è difficile prevedere che l’Ucraina possa lanciare contrattacchi perché ha carenza di truppe e perché l’Occidente sta esaurendo armi e munizioni».

E i carri armati promessi, i jet?
«Arriveranno in primavera, ma saranno relativamente pochi perché gli eserciti europei hanno pochi carri armati. Negli ultimi 20 anni i nostri eserciti hanno ridotto le artiglierie a poche decine di unità perché ci siamo strutturati per combattere guerre contro nemici molto leggeri come i Talebani, l’Isis. L’Europa non ha neppure le scorte di munizioni per combattere una guerra come quella del Donbass e per l’esercito ucraino è paradossale».

In che senso?
«È difficile inserire tre o quattro modelli di tank occidentali diversi tra loro in un esercito che sta combattendo e che già impiega quattro tipi di carri di tipo sovietico. La catena logistica che deve dare supporto non può esistere in queste condizioni. Ogni esercito occidentale dispone di un tipo di carro armato, di un tipo di veicolo da combattimento, di un tipo di cannoni... gli ucraini adesso dispongono di 160 tipi diversi di carri armati, cingolati, missili anti aerei, missili anticarro, veicoli, una babele logistica che comporta che molti di questi mezzi vengono utilizzati come pezzi di ricambio. Al momento l’unico modo per sostenere Kiev è reperire sul mercato altri equipaggiamento di tipo sovietico, quello che stanno facendo gli americani».

Qualcuno dice che l’Occidente abbia perso un po’ di vista l’obiettivo della guerra e anche per questo motivo i cittadini europei comincino a essere stufi.
«Non è la prima, guardiamo l'Afghanistan, ma questa è la prima dopo tanti anni che si combatte nel nostro continente. E soprattutto questa è una guerra che viene fatta contro l’Europa di cui l’Europa per incoscienza o per incapacità si è resa complice. Ho appena scritto un libro in proposito (“L’ultima guerra contro l’Europa”, ed. Il Cerchio). La guerra nasce da una crisi che l’Europa non ha saputo o voluto gestire che è quella del 2014, che inizia con il Maidan».

Non credi che Biden stia cercando di convincere Zelenski a fare un mezzo passo indietro?
«L’incontro di lunedì potrebbe aver avuto quell’obiettivo nascosto. Gli americani in realtà sono già i veri vincitori di questa guerra».

Quindi la Nato come ne esce?
«La Nato ne esce apparentemente più forte ma più debole politicamente, si conferma come uno strumento in mano agli angloamericani in cui gli altri Paesi sono comparse. La più grande potenza europea, la Germania, non è riuscita a esprimere nessuna valutazione critica neppure quando gli hanno fatto saltar per aria i due gasdotti del Baltico. Per assurdo adesso nella Nato hanno più peso nuovi partner come gli Stati baltici, o la Polonia».

Il 2% del Pil in armi è fattibile?
«L’impegno italiano è perseguibile ma dipende, farlo in condizione di recessione è difficile. Se verranno create le condizioni per una crescita economica sarà certamente più facile. Ma se la crisi e la guerra continuano la vedo dura».

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