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Sceresini e Bosco, giornalisti italiani bloccati in Ucraina e tutti zitti

Marco Petrelli
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Tempi duri per i corrispondenti di guerra in Ucraina. Specie per i freelance che, privi della "copertura" dei grossi network, sono più esposti a pericoli e censura. E' il caso di Andrea Sceresini ed Alfredo Bosco, freelance italiani, collaboratori fra gli altri de La7, ai quali le autorità di Kiev avrebbero sottratto gli accrediti indispensabili per muoversi e per documentare gli eventi nel teatro bellico. 

Il sospetto (che suona più come un'accusa) è che i due siano spie russe. Vero che in un contesto di emergenza quale la guerra la linea che separa il legittimo sospetto dall'accusa aperta è molto più fine che in condizioni, diciamo così, normali. Ciò non toglie che tenere bloccati professionisti di un paese che ti sostiene e che ti arma sin dall'inizio dell'invasione è preoccupante, pericoloso ed, infine, irrispettoso. Come? Osanni la lotta per la libertà e poi combatti la libera informazione?
 

 

"Bloccato a Kiev dal 6 febbraio. E la libertà di stampa?". Sceresini a Piazzapulita, guarda qui il video

 

La Guerra ucraina ha rappresentato un'opportunità per i tanti giornalisti autonomi del nostro Paese, desiderosi di raccontare il conflitto ma anche di ampliare lo scarso ventaglio di opportunità che la professione giornalistica offre in Italia. Non è un caso, in fondo, se siamo al 58° posto nel mondo per libertà di stampa. Le già poche tutele del giornalista, le normative dure quanto ad infrazioni della deontologia, il rischio di essere denunciati talvolta per un nulla e di ritrovarsi, soli, a fronteggiare le esose spese legali mette a dura prova la professione e demotiva l'inclinazione alla libera informazione. E chi veramente tenta di vivere con questo lavoro sappiate lo fa per passione, per grande passione... altro che per carriera! 

 

 

 

Vi è poi la strana tendenza a confondere l'informazione con la comunicazione: tutti vogliono avere spazio, ma in base alle proprie necessità e a certe condizioni. Il pregiudizio nei confronti dei giornalisti è infatti ancora forte: "scrivono solo sciocchezze e falsità". E chi pretende di uscire bello, pulito e profumato sulle pagine dei giornali o in diretta televisiva è proprio sicuro stia fornendo una corretta informazione? Oppure sta solo comunicando ciò che gli fa comodo?

Domande che forse non troveranno risposta. Eppure c'è chi, fra mille difficoltà, non perde la passione anche quando equipaggiamento, viaggio e rischi per raggiungere la zona di crisi sono tutte a suo carico. Il silenzio, inquietante, sulla sorte dei colleghi Sceresini e Bosco e di altri palesa dunque lo scarso livello di interesse verso chi esercita, con slancio e spirito di abnegazione, la propria professione. 

Quanto all'accusa di essere "spie russe" questa appare immotivata e pretenziosa. Lo SBU (Bezpeky Ukrayiny), il servizio di sicurezza ucraino, infatti, è sospettato di violazione dei diritti umani e delle libertà di stampa. Usiamo il condizionale perché, a differenza di chi vuol dare sempre per certo tutto quello che arriva dalla linea del fronte, vogliamo concedere il beneficio del dubbio. E citiamo le fonti...

 

 

 

 

In "You don't exist", rapporto sulle violazioni dei diritti umani nell'est ucraino pubblicato il 21 luglio 2016 da Amnesty International ed HRW, si legge che "nei tre casi riassunti in dettaglio di seguito, la SBU ha continuato a trattenere queste persone per un periodo compreso tra sei settimane e 15 mesi, senza consentire loro di vedere un avvocato o avere alcun contatto con il mondo esterno. Tutti gli individui erano sospettati di coinvolgimento in attività pro-separatiste".

Tre di novi casi analizzati dalle due organizzazioni che avrebbero riguardato civili ucraini sospetti di attività pro indipendentisti e arrestati. Se ci sono pochi scrupoli verso la propria gente, figuriamoci verso gli stranieri. Il fatto di godere di sostegno internazionale a livello materiale e di informazione non giustifica il ricorso a sistemi... sovietici! In particolare se i giornalisti appartengono (ricordiamolo ancora una volta) ad una nazione che da un anno si mostra vicina alla ed amica della causa ucraina. 

Fragoroso, inoltre, il silenzio dei grandi media nostrani, che il più delle volte si sono limitati a riportare la notizia del ritiro degli accrediti, senza poi approfondire la situazione dei colleghi, neanche in occasione della visita del Presidente del Consiglio a Kiev. Da lei, Giorgia Meloni, forse qualche parola ce la saremmo aspettata sia come persona decisa e battagliera nel tutelare l'interesse nazionale, sia come giornalista. Ma chissà, forse in separata sede ed in un contesto più discreto potrebbe aver ottenuto qualche informazione... 

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