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Ucraina-Russia, ma questa guerra ci conviene?

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Gianluca Mazzini
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La visita a Kiev di Giorgia Meloni è importante perché riapre uno dei dossier più scottanti per il governo. La maggioranza degli italiani (e quindi anche degli elettori del centrodestra) è critica sull’invio di armi. Quando otto mesi fa l’ex premier Draghi si recò nella capitale ucraina l’opinione pubblica italiana era tutta schierata con Zelensky. Oggi la situazione è cambiata. Giulio Cesare sosteneva che: «Non esistono amici o nemici ma solo interessi». E il cinismo del potere, che vale ieri come oggi. È giunto il momento di spiegare esattamente quali sono gli interessi dell’Italia in gioco. Il sostegno a Kiev è sicuramente nostro interesse perché bisogna tutelare il diritto internazionale violato da Putin.

Ma è un’argomentazione che non fa molto presa perché nel mondo ci sono continue violazioni che non vengono in alcun modo sanzionate (vedi Medio Oriente). Sicuramente non tuteliamo i nostri interessi economici. Mosca è sempre stato un nostro fondamentale fornitore energetico, fin dai tempi di Enrico Mattei. Interessi geostrategici: il mantenimento di un ruolo nell’Alleanza Atlantica viene considerato da tutti i governi italiani, si veda la linea di continuità tra Draghi e Meloni, come essenziale perché dal punto di vista militare non siamo messi bene. Essere parte della Nato ci garantisce sicurezza.

Ma se Zelensky, sostenuto dall’Alleanza Atlantica, non vincesse? Se in Ucraina si ripetesse uno scenario vietnamita nel mezzo dell’Europa, cioè una guerra ventennale su larga scala? Ipotesi molto realistica perché è in atto un conflitto dove nessuno dei due contendenti può permettersi di perdere. Per questo il rischio di un conflitto nucleare resta altissimo.

QUANTO COSTA ESSERE AFFIDABILI
Interessi politici. Diventare un punto di riferimento all’interno dell’Alleanza Atlantica. Questa sembra l’ossessione dei nostri governi. Essere considerati da Washington e Bruxelles affidabili. Nessun’altra opzione (cessate il fuoco, tregua, pace) sembra interessare. Ma questo si scontra con la realtà di un popolo italiano sempre più diffidente nei confronti della guerra. Gli ultimi sondaggi danno al 60% gli italiani contrari all’invio di armi in Ucraina. Senza considerare i costi che sosteniamo. Ai 500 milioni spesi per gli armamenti inviati a Kiev bisogna aggiungere i tre miliardi l’anno che ci costano le sanzioni contro Mosca. La politica non dovrebbe, però, sottovalutare due recenti fatti che hanno per protagonista il presidente ucraino. Caso Sanremo. Zelensky prima è stato invitato al Festival poi quasi censurato. Si è passati dal collegamento in diretta, al messaggio video per poi finire con un testo letto dal conduttore in piena notte. Ancor più eclatante il caso Berlusconi.

L’ex presidente del Consiglio parlando al seggio per le Regionali ha dato parte della responsabilità della guerra a Zelensky, aggiungendo che lui non andrebbe mai a Kiev a stringere la mano «a questo signore» e che è ora di un cessate il fuoco invece di inviare armi. I giornali hanno parlato di un attacco di Berlusconi alla leadership della Meloni. Al di là delle speculazioni, dall’alto della sua esperienza politica, Berlusconi sapeva di dire quello che la maggioranza degli italiani vuole sentire.

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