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Berlino-Von der Leyen, fondo sovrano: attacco segreto all'Italia

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Sandro Iacometti
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Qualcuno, stavolta, ci aveva creduto. Del resto, a spingere sulla necessità di fronteggiare l’inflazione (e il super piano da 370 miliardi degli Stati Uniti) con un fondo sovrano Ue, un Recovery bis per intendersi, oltre all’Italia, alla Spagna e pure alla Francia, c’erano diversi commissari, come Paolo Gentiloni e Thierry Breton, il presidente del Consiglio Ue Charles Michel, e persino Ursula von der Leyen, che da un po’ continuava a parlare di strumenti finanziari comuni da affiancare agli aiuti di Stato. Qualche giorno fa, però, da Berlino è arrivato l’altolà. «I fondi esistenti come il NextGenerationEu e il RepowerEu sono già una risposta» all’Inflation reduction Act americano», ha detto il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, spiegando che è persino inutile aprire il dibattito su altre forme d’intervento. E così è stato.


DEBITO COMUNE
Ieri la von der Leyen ha presentato il suo grande Piano industriale “green”(la parola “verde” ormai è obbligatoria per qualsiasi tipo d’iniziativa comunitaria), che ruota sostanzialmente intorno a due cardini: la flessibilità sugli aiuti di Stato (finora utilizzati al 75% da Francia e Germania) e lo straordinario RepowerEu (già bocciato dalla Corte dei Conti europea perché non ha veri stanziamenti). E gli altri due punti che aveva annunciato la stessa presidente della Ue? Sentite qua. Il Sure, ventilato da molti come strumento ideale per fare investimenti finanziati da debito comune, è passato di moda. «Ne sono stata una forte sostenitrice perché è stato un enorme aiuto alle aziende durante i lockdown», ha detto la von der Leyen, «ma ora la situazione è diversa». Insomma, non se ne fa niente. Quanto al fondo sovrano chiesto a gran voce dall’Italia e da mezza commissione Ue, la questione sarà affrontata nell’ambito della revisione del quadro finanziario pluriennale su «cui la discussione andrà avanti tutta l’estate e non è possibile dare una tempistica certa». In altre parole, se ne parla a babbo morto.


CHI FESTEGGIA
La sostanza è che è accaduto esattamente quello che non doveva accadere. Da una parte c’è la potenza di fuoco del RepowerEu, che nessuno sa con precisione quanto sia (ogni volta la presidente della Commissione spara cifre diverse) e da dove provenga, in ogni caso da fondi riciclati e stanziamenti già approvati. Dall’altro ci sono gli aiuti di Stato di cui Francia e Germania finora, avendo uno spazio di bilancio molto più ampio del nostro, hanno fatto man bassa e su cui la flessibilità verrà applicata almeno fino al 2025.


Non è un caso che Parigi e Berlino si siano affrettate a far sapere che la proposta della von der Leyen è «ottima». Ma il malumore nell’Unione inizia a crescere. Per i principali partiti che sostengono la maggioranza von der Leyen, Ppe e S&d la risposta messa in campo da Bruxelles è «irrilevante», «troppo poco e troppo tardi». Poi c’è l’Italia, che a quanto pare si deve accontentare di quei 9 miliardi che arriverebbero dal RepowerEu. È per questo che il governo porterà sul tavolo del consiglio del 9 e 10 febbraio un documento informale (non-paper), già inviato agli altri Stati e alla Commissione. Documento in cui, oltre a chiedere una rimodulazione del Pnrr, si evidenzia come «l'allentamento del quadro temporaneo per gli aiuti di Stato non è la risposta, poiché comporterebbe un rischio di frammentazione del mercato interno poiché non tutti gli Stati membri dispongono dello stesso margine fiscale per fornire aiuti di Stato». Un timore che, guarda un po’, viene sollevato anche dalla responsabile proprio degli aiuti di Stato, Margrethe Vestager, secondo cui «il mercato unico è la chiave della nostra competitività e dobbiamo evitare una corsa ai sussidi», perché «se competiamo individualmente come Stati membri, perdiamo insieme». 

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