Vladimir Putin, prima e dopo: la foto sconvolge il mondo
Non c'è dittatore della storia moderna che a un certo punto della sua parabola non abbia iniziato una lenta e ineluttabile discesa verso gli abissi della solitudine. Erigere attorno a sé un muro di incomunicabilità e una distanza di sicurezza anche nei confronti dei più stretti collaboratori sembra una condizione indispensabile per mantenere il potere, una regola che accomuna anche certi leader democratici rimasti in vetta per tanti anni.
E al quale non si è sottratto a maggior ragione il presidente russo Vladimir Putin, che esercita il suo potere da oltre quattro lustri in modo gradualmente autocratico e che venerdì, 6 gennaio, ha partecipato alla messa del Natale ortodosso russo nella Cattedrale dell'Annunciazione al Cremlino in perfetta solitudine, come volesse mandare un messaggio preciso a se stesso e al mondo intero.
La fotografia che lo ritrae quasi sconsolato in giaccone blu e dolcevita bianco, appartato in un angolo della chiesa, di fronte al sacerdote che celebra il rito, piccolo e immobile, con il portamento di un pensionato che osserva distratto i lavori di un cantiere per la strada, è già per molti diventata il simbolo non solo della solitudine di Vladimir in una delle sue rare uscite dal famoso bunker, ma anche del suo fallimento. La dimostrazione di quanto appunto il destino solitario del dittatore sia inevitabile e anche di quanto il male possa apparire banale se spogliato della violenza e dei simboli che lo circonda.
La banalità di un dittatore che si è isolato per mantenere il potere a casa sua, ma che lo è anche doppiamente, perché si è isolato anche dal resto del mondo, in particolare dall'Occidente del quale avrebbe voluto e avrebbe potuto diventare un fermo punto di riferimento.
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LA FOLLIA
Prima che la follia espansionistica panrussa prendesse il sopravvento nella sua politica il suo posto era tra i membri del G8, il suo posto era in prima fila tra quelli che difendevano i valori cristiani occidentali di fronte al terrorismo islamico e alle minacce del Califfato. Ma da quella privilegiata posizione, nella quale poteva anche vantare la stima di una gran fetta di opinione pubblica occidentale democratica, si è tirato fuori da solo infrangendo le stesse regole che un tempo diceva di voler difendere.
Solo e isolato in patria, solo e isolato nel mondo perché anche i suoi alleati lo stanno abbandonando o lo hanno già abbandonato, e i nuovi amici, come Xi Jinping, sono tali per bieco opportunismo. Il dittatore cinese, altro uomo tremendamente solo ma difeso da un sistema che fa della gelida solitudine umana la sua cifra, lo userà dandogli amichevoli pacche sulle spalle e girandogli le sue quando sarà il momento. Tra gli uomini di potere solitari e diffidenti si fa così. Il cinese tornerà sì, ma solo a prendersi i pezzi di quel che rimarrà della Russia sgretolata dal lento e ormai ineluttabile suicidio dell'alleato russo.
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LO SGUARDO
Putin lo sa, lo si legge nei suoi occhi. Guardate ancora quella foto che pubblichiamo in questa pagina, guardate il suo sguardo, il destino segnato in quelle pupille appuntite perse nel nulla. Il presidente russo conosce già il destino che gli spetta, sa già di aver perso e di aver trascinato nella sua follia il suo Paese, sa di essere perfettamente solo e che i vari Prigozhin o Kadyrov sono avvoltoi che aspettano di avventarsi anche loro sulla sua carcassa. Mai avrebbe dovuto fidarsi di loro, ma la solitudine del potere gioca brutti scherzi: tutti i dittatori prima o poi si sono fidati delle persone sbagliate, tutti hanno affidato il loro destino a inaffidabili e pericolosi mediocri.
Nemmeno potrà mai contare sui suoi presunti amici, i vari Medvedev e Lavrov, pronti a darsela a gambe quando sarà il momento, a sparire col malloppo quando tutto sembrerà perduto. Mancano i particolari ovviamente, mancano le modalità e i tempi. Resta da capire se la guerra la perderà sul campo di battaglia o sul tavolo delle trattative, resta da capire fino a che livello dovrà scendere negli abissi della ignominia e dell'umiliazione, ma la sua fine è già lì in quello sguardo, in quella postura sconfitta in un angolo di una chiesa.