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Putin ci riapre il gas? Un piano sporco: cosa c'è dietro davvero

Mirko Molteni
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La guerra russo-ucraina supera 300 giorni e la diplomazia segue un doppio binario. Mosca lancia all'Occidente messaggi che incrinino la convenienza a sostenere Kiev. Ieri il ministro russo dell'Energia, Alexander Novak, ha annunciato che la Russia «è pronta a riprendere le forniture di metano all'Europa mediante il gasdotto Yamal». Ovvero la tubazione lunga 4.100 km che dai giacimenti della penisola di Yamal e della Siberia occidentale porta gas a Germania e Polonia traversando la Bielorussia. Per Novak: «Il mercato europeo resta rilevante e noi siamo pronti a riaprire le forniture anche se c'è stata una campagna contro di noi, culminata col sabotaggio del gasdotto North Stream».

SABOTAGGI
Non a caso, il North Stream era esploso nei giorni in cui s' inaugurava il nuovo Baltic Pipe Norvegia-Polonia, nato per ovviare allo Yamal.
Novak ha aggiunto che, attraverso la Turchia, l'Europa ha continuato a comprare molto gas russo: «In 11 mesi del 2022 le forniture di gas sono aumentate a 19,4 miliardi di metri cubi, con una previsione di 21 miliardi entro fine anno». Ha citato gli accordi Russia-Turchia per trasformare il paese del presidente Recep Erdogan in uno snodo gasifero. Conclude Novak: «La Russia fornisce gas dal TurkStream a pieno regime, mentre attraverso la rotta ucraina passano 42 milioni di metri cubi al giorno, un terzo del volume previsto dai contratti».

 

 


Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitri Medvedev ha ridefinito l'obbiettivo della guerra nella «distruzione del regime di Kiev», il che compromette i negoziati: «Faremo del nostro meglio per raggiungere l'obiettivo dell'operazione speciale, in modo che il regime disgustoso dei nazionalisti di Kiev cessi di esistere». Da Kiev risponde il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba che chiede «l'espulsione della Russia dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU e dalle Nazioni Unite». Provocazione che pare impossibile da attuare, perché sovvertirebbe le basi su cui è nata l'ONU nel 1945, dagli accordi fra i vincitori della Seconda Guerra Mondiale.

 

 

Gli ucraini, intanto, hanno mandato un drone a lunga autonomia a bombardare la base aerea russa di Engels, vicino Saratov, a 500 km dal confine, già attaccata il 5 dicembre. I russi sostengono che «l'ordigno è stato abbattuto e i rottami hanno ucciso tre nostri militari». Non si ha notizia di danni ai bombardieri Tupolev, con capacità nucleare, di stanza sulla pista. I russi hanno invece lanciato 40 razzi su molte regioni, soprattutto su Kherson, che il governo ucraino esorta a evacuare. Nel Donbass, l'artiglieria russa, forse grazie a radar di controbatteria, ha «distrutto un obice americano M777 che cannoneggiava Donetsk». E il servizio segreto russo FSB, ha «eliminato 4 sabotatori ucraini che cercavano di infiltrarsi nell'area di Bryansk, armati di fucili tedeschi SIG Sauer e di 40 kg d'esplosivo».

Il momento è delicato. Ieri il presidente Vladimir Putin ha firmato un decreto che facilita la richiesta di passaporti russi da parte dei residenti delle regioni annesse. Non si possono confermare, intanto, mere voci dell'analista russo Valery Solovei, secondo cui «Putin sta assumendo farmaci antitumorali occidentali». Il contrasto Mosca-Kiev si gioca anche sul Natale, 25 dicembre per i cattolici, 7 gennaio per gli ortodossi.

FESTE SEPARATE
L'odio per gli assalitori ha fatto si che, secondo il vescovo di Kiev, Vitalii Kryvytskyi, «sono aumentati i fedeli ucraini che hanno preferito celebrare il 25 dicembre e rifiutano il 7 gennaio». Si dice che dal 2023 Natale in Ucraina sarà festa solo il 25 dicembre. Erdogan rilancia un suo ruolo, per ricavarne immagine politica in vista delle elezioni turche del 2023: «L'Occidente ha solo intensificato elementi di provocazione e non ha cercato di essere un mediatore. Noi come Turchia abbiamo invece assunto questo ruolo ottenendo il corridoio del grano». 

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