Pakistan, droga e armi: l'oscura verità sullo Stato islamico
«As-salamu 'alaykum», cioè «la pace sia su di voi», è il saluto che tutti i musulmani rivolgono a tutti i musulmani tranne alcuni musulmani nel Pakistan musulmano. Nella «Terra dei puri» (questo il significato di «Pakistan» in urdu e persiano) dove le minorenni vengono rapite, impalmate da barbablù parecchio agé e convertite a forza se di credo diverso, dove la legge sulla blasfemia è un'arma politica micidiale e dove le malefatte del potente alleato cinese contro i musulmani uiguri vengono taciute o persino giustificate, in questo Pakistan fatto così gli aderenti al movimento islamico Ahmadiyya non possono nemmeno dare la pace agli altri.
Qadian, nel Punjab indiano, poco meno di 21mila abitanti, è la loro città santa, ma il movimento esiste in 196 Paesi. Ha strutture, emittenti televisive con programmi in svariate lingue, convention annuali, persino scismi interni ed è famoso per l'aiuto ai poveri a fronte di catastrofi naturali o durante le pandemie come quella del Covid. Soprattutto gli Ahmadi sono indistinguibili dagli altri musulmani. Credono che Allah sia Dio, Maometto il suo profeta e il Corano il suo verbo come tutti i musulmani. Come tutti i musulmani credono nei cinque pilastri dell'islam e non scomunicano chi non appartiene al loro movimento. E allora perché il Pakistan li perseguita? Qui a Qadian me lo spiega Tariq Ahmad, responsabile della comunicazione internazionale.
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«ERETICI» - Il movimento è stato fondato nel 1889 dall'apologeta islamico Mirza Ghulam Ahmad (1835-1908). Interpretando le profezie di Maometto, nella cui scia vuole porsi fedelmente, si è definito sia Messia sia Mahdi (il profeta della fine dei tempi) giunto, sempre secondo l'annuncio di Maometto, per restaurare la fede seguendo la missione di Gesù (tant' è che a Torino è in atto una seria collaborazione fra gli Ahmadi e il Centro internazionale di studi sulla Sindone). Una parte del clero musulmano ha sempre screditato gli Ahmadi sul piano teologico, ma dal 1974 il Pakistan ne ha fatto un caso politico, primo e unico Paese a dichiarare eretico questo movimento. A parte il fatto che nessuno nell'islam ha l'autorità magisteriale per mettere il bollino rosso sugli Ahmadi (o su altri gruppi islamici), gli studiosi indipendenti e non musulmani documentano come nulla in questo movimento possa essere decretato non-musulmano. Eppure in Pakistan le donne degli Ahmadi vengono sbeffeggiate, le loro moschee vandalizzate e le tombe dei loro morti dissacrate. Per richiedere il passaporto tutti i cittadini pakistani debbono indicare la propria appartenenza religiosa, ma agli Ahmadi doppia razione: debbono scrivere pure che il loro fondatore è «un impostore» e i suoi seguaci «non -musulmani».
Magari quel passaporto serve agli Ahmadi per arrivare in India, dove invece vivono liberamente. «Qui sono musulmano», ironizza Tariq Ahmad, «ma se passo la frontiera sono un eretico».
IL CONFINE - Ora, quel confine è un recinto di metallo e filo spinato lungo 3300 chilometri, 500 dei quali corrono nel Punjab bisecato dalla partizione che nel 1947 fece delle regioni indiane occidentali a maggioranza islamica il nuovo Stato pakistano (e analogamente creò a est il Pakistan orientale, poi divenuto, passando per il genocidio dei bengalesi per mano pakistana nel 1971, l'attuale Bangladesh). I fari illuminano la barriera h24, 7/7 perché l'India teme il Pakistan. Dall'altra parte invece non ci sono muri, perché il Pakistan dall'India non teme nulla.
A 60 chilometri sud-ovest della Qadian degli Ahmadi, lungo la National Highway 54, sorge Amritsar (quasi 1 milione di abitanti), altra città santa di un'altra importante comunità religiosa indiana, i Sikh, anch' essi olimpionici di carità, che non chiede certificati di religione o classe. Poco prima del calare del Sole le strade si gremiscono di veicoli e motorette che sfrecciano verso il valico di frontiera di Attari, una trentina di chilometri ancora oltre. L'ammainabandiera si trasforma ogni giorno in una sceneggiata che National Geographic ha messo in un documentario.
La gente tifa sugli spalti come allo stadio e gli adolescenti ballano sul selciato come in discoteca. La Border Security Force indiana (prestano servizio armato anche le donne) e i Ranger del Pakistan inscenano una danza di guerra. I frontalieri rientrano e i cancelli si chiudono fra musica e digrignar di denti. Sì, Bollywood: ma se in nessun'altra frontiera del mondo accade una cosa così, una ragione ci sarà.
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MURI ED EROINA - Me lo spiegano alla Guru Nanak Dev University di Amristar. Gestita dal governo, è il vicecancelliere (il rettore), Jaspal Singh Sandhu, a raccontarmene l'eccellenza. Tiene però a sottolineare un dato. «Il mio primo atto, quando sono stato nominato nell'agosto 2017», mi dice, «è stato alzare i muri di cinta, confinare tutte le auto in due parcheggi periferici e provvedere internamente al fabbisogno diretto e indiretto degli studenti». No, non è un manettaro: è così che Sandhu ha vinto la droga sul campo e nel campus.
Eroina e pasticche sintetiche da poche rupie qui sono un flagello. Me lo mostrano nell'Aas Kiran Drug Counselling & Rehabilitation Centre di Hoshiarpur (quasi 170mila persone), che contende i 20enni, ma pure le 14enni, al nulla. Ci riesce circa nel 30% dei casi, il resto è rovina.
Il Pakistan dei matrimoni-stupri delle giovinette e della persecuzione religiosa è infatti lo stesso Pakistan che invade il Punjab indiano di polvere di morte e di armi per i terroristi musulmani "buoni" a differenza degli Ahmadi musulmani "cattivi". La guerra aperta all'India il Pakistan non se la può permettere né economicamente né militarmente, ma a sabotare il presente (la difesa eccezionale dei confini è costosissima) e il futuro (la droga ammazza i giovani) dell'immenso vicino è bravissimo. Sono stati scoperti tunnel, ma il fenomeno più notevole sono i droni di ultima generazione.
La stampa indiana pubblica di continuo le fotografie di armi automatiche, munizioni e polvere bianca calata dall'alto dagli aerei senza pilota i cui numeri di matricola riconducono direttamente al governo di Islamabad.
Visito una postazione di sorveglianza, gli agricoltori vengono scortati dai servicemen armati. Ogni tanto ci scappa l'incidente. Mi torna improvvisamente in mente che Osama bin Laden fu abbattuto nella Abbottabad pakistana a 1,3 km dalla West Point pakistana. Ma soprattutto capisco perché a Delhi il mio taxi viene sempre fermato alla sbarra dell'hotel per il controllo del bagagliaio e del vano motore, con tanto di perlustrazione antimina sotto la scocca.