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Pablo Picasso, il postribolo segreto: la scoperta a luci rosse

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Una lettura avvincente, come capita spesso con la saggistica anglosassone: la storia dell'arte spiegata attraverso lo studio, il luogo di riflessione e di lavoro che nel presente si definisce prevalentemente come un cubo bianco, con pochi segni, essenziale e pratico. Per ogni epoca, e in ogni latitudine, c'è stata una diversa idea e funzione dello studio, da bottega artigiana a pensatoio, da stanzino sacrale a postribolo, da spazio di rappresentanza e vendita a rifugio dalla banale vita domestica. "Lo studio d'artista. Una storia culturale" di James Hall, critico e storico dell'arte inglese, docente all'Università di Southampton, collaboratore di diverse testate e autore di numerosi volumi, è uno di quei libri perfetti da regalare per un Natale di qualità. Lo pubblica Einaudi e costa 36, non troppo se consideriamo la quantità di illustrazioni e le quasi 300 pagine.

Il racconto parte dall'antica Grecia, quando gli studi erano botteghe per artigiani capaci di lavorare ferro e bronzo. In quel lontanissimo tempo non esisteva una parola per definire un artista ma i più abili e versatili, come Fidia, Prassitele, Lisippo e Apelle, vendevano a prezzi sostenuti le loro creazioni. Nel Rinascimento si compie la trasformazione da laboratorio a bottega e Cennino Cennini, nel Libro dell'arte, rivela indicazioni precise su come lavorare i diversi materiali. A quel punto lo studio diventa un luogo non più ordinario e gli artigiani ci stanno concentrati come fossero impegnati con la teologia o la filosofia: gli spazi sono ridotti, monacali, ogni tanto compare qualche finestra in alto, unica sorgente di luce naturale.

E Leonardo? «Sottolinea l'importanza dello studio per la proiezione dell'identità artistica» in particolare quando deve dipingere, meglio se in posizione seduta per i quadri grandi. Lavora contemporaneamente su parecchio materiale e riceve le visite dei committenti; essendosi spostato più volte lo troviamo ospite nelle stanze di bei palazzi. Tra i personaggi attivi nel tardo manierismo compare Lavinia Fontana, bolognese tra le prime pittrici "professioniste" che ricevette diverse commissioni per pale d'altare e ritratti nonostante ben undici gravidanze. Episodio interessante, citato da Hall, perché rovescia almeno in parte il luogo comune sulla scarsa presenza delle donne negli studi, che diventa molto più consueta dopo il 1600: mogli, amanti, muse, modelle, mecenati, artigiane e artiste stesse.

 

 

 

IL RUOLO DELLE DONNE

Soprattutto le prime partecipano alla vita dello studio, gestiscono gli affari, si occupano della casa, allevano i figli, qualche volta posano superando così il disagio della gelosia. «Le donne non solo cucivano o filavano, ma disegnavano e dipingevano, leggevano e scrivevano» ed è proprio quello il tempo in cui acquistano credito anche grazie a personalità forti come Artemisia Gentileschi, prima donna a essere ammessa all'Accademia di Firenze o Elisabetta Sirani, così popolare a Bologna da ricevere l'omaggio di un catafalco cimiteriale in cui è ritratta mentre dipinge. Con l'800 lo spazio si fa incontaminato, reazione allo studio traboccante di oggetti, decorazioni, confort e arredi che facevano pensare a un luogo più mondano che di lavoro. Caspar Friedrich, il pittore romantico per eccellenza, era severissimo, il suo studio assomiglia alla cella di un monaco, per lavorare usa pochi strumenti e uno di questi è la riga a T per maggior precisione. Picasso, invece, usa lo studio sì per la pittura ma senza negarsi il piacere del sesso come è noto dai racconti delle sue modelle e amanti.

Il '900 vede l'abolizione del cavalletto, il superamento delle tecniche accademiche e lo studio si trasforma in laboratorio o fabbrica. Prima di giungere alla rivoluzione della Factory di Andy Warhol, in cui si faceva di tutto, anche e soprattutto vita sociale alternativa, la vera svolta la diede la Bauhaus che ridefinisce la natura dell'arte. A Dessau, con l'edificio progettato da Gropius, divenne il complesso di laboratori più visitato al mondo, non senza una precisa idealizzazione del medioevo e di quelle opere realizzate per la comunità. Qui lo studio si trasforma in scuola, luogo da vivere giorno e notte, laboratori open space, talora freddi, che condizionano ancora il gusto contemporaneo, nonostante la definitiva chiusura avvenuta nel 1933. Tutto questo in un mondo dove l'artista oggi non ha più bisogno di grandi spazi perché le opere si progettano, come sempre, con l'aiuto degli artigiani e degli specialisti, figure di cui si parla troppo poco nella storia dell'arte e che invece Hall rimette al centro nel processo della creazione.

 

 

 

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