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Russia, gli ultimi dati economici: ecco la verità sull'effetto delle sanzioni

Daniele Dell'Orco
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Sull'inaspettata tenuta dell'economia della Russia dopo sette sanguinosi pacchetti di sanzioni da parte dell'Unione europea e restrizioni varate su tutti da Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Regno Unito e Giappone da febbraio a oggi le teorie si sprecano. E per tenere insieme i numeri snocciolati da sostenitori o detrattori servirebbe un pallottoliere. Dal Forum Economico Orientale di Vladivostok ieri il ministro dello Sviluppo Economico Maxim Reshetnikov ha profetizzato che il Pil della Russia si contrarrà appena del 2,9% quest' anno, per avvicinarsi allo zero virgola nel 2023. Si tratta di numeri capaci di mettere in imbarazzo quelli prospettati all'indomani dell'inizio della guerra in Ucraina da parte di analisti, istituti bancari e agenzie di rating occidentali che parlavano di un crollo a doppia cifra dell'economia russa. Poiché da mesi la Banca centrale di Russia e il Rosstat, l'istituto nazionale di statistica, hanno smesso di pubblicare dati sull'andamento di molti settori (come commercio, investimenti e occupazione), in molti si stanno chiedendo se le previsioni di Mosca siano "politiche" o almeno vagamente affidabili.

 

 

RECESSIONE - Qualche elemento per farsi un'idea, però, c'è. Ad esempio, i russi avevano ragione quando dicevano che da febbraio a oggi gli introiti dalla vendita di energia fossile fossero addirittura aumentati visti i prezzi alle stelle, come dimostra un rapporto del "Centro finlandese per la ricerca sull'energia e l'aria pulita" (istituto indipendente, con staff sparso in diversi Paesi dell'Asia e dell'Europa), secondo il quale la Russia avrebbe guadagnato 158 miliardi di euro dalle esportazioni di gas, petrolio e derivati. L'ipersanzionatoria Ue, per paradosso, ne ha importato più della metà, il 54%, per un valore di circa 85 miliardi (seguita da Cina, Turchia, India, Giappone, Egitto e Corea del Sud). Come vengano gestiti visto che sono pagati in valuta straniera non si sa, ma che la Russia nell'immediato sia più ricca di prima è un fatto. Diverso però il discorso in chiave prospettica, come sostiene Fatih Birol, direttore esecutivo della Iea (International energy agency). Sul Financial Times Birol scrive che un futuro senza il supporto occidentale in termini di tecnologia, competenze tecniche e fornitura di componenti di alto livello possa essere fatale per Mosca non solo per lo sviluppo industriale in generale, ma anche per quanto riguarda gli idrocarburi stessi (specie l'espansione della produzione di greggio e GNL).

Buona parte del nuovo petrolio russo dovrebbe arrivare da giacimenti più difficili da esplorare, come quelli offshore e nelle regioni artiche, e senza la partecipazione di compagnie occidentali la Russia da sola potrebbe dover congelare tutto. È più o meno la conclusione a cui è arrivato anche il rapporto interno formulato per lo stesso governo russo e visionato da Bloomberg, che parla dei rischi di una recessione più lunga e profonda. Già il prossimo anno secondo il documento l'economia potrebbe calare dell'8,3% rispetto al livello del 2021, e un ritorno ai livelli pre-bellici sarebbe possibile solo per la fine del decennio. Questo perché, aldilà delle restrizioni in sé, sarà lo sviluppo industriale a risentire delle sanzioni, con ben 200mila specialisti IT che potrebbero lasciare il Paese entro il 2025, mettendo in ginocchio l'export non solo di energia (azzerare la vendita di gas all'Europa costerebbe 6,6 miliardi) ma anche di metalli (i produttori starebbero perdendo 5,7 miliardi all'anno già ora), di prodotti chimici e di prodotti in legno. La mancanza di import tecnologico impatterebbe invece al 99% sulla produzione di pollame, al 30% sulla produzione di bovini da latte, al 95% sul volume di passeggeri aerei (che oggi viaggiano su velivoli di fabbricazione straniera che senza ricambi sarebbero fuori servizio), all'80% sul settore farmaceutico.

 

 

CONTROMISURE - Il ministro Reshetnikov, però, ha definito le previsioni «utilizzate per calcolare cosa accadrebbe se non facessimo nulla». Perché in effetti qualche contromisura ci sarebbe. Ora come ora, invece, i fattori che tengono in piedi la Russia sono vari, sottostimati dall'Occidente. Uno su tutti, le capacità straordinarie del personale della Banca centrale russa, guidata da Elvira Nabiullina, che da tempo si preparavano allo scenario attuale. Grazie al raddoppio dei tassi di interesse a febbraio, ai controlli sui capitali e alla gestione dei prezzi, il rublo si è rafforzato e l'inflazione si è ridotta (dal 17,6% di marzo all'11% di luglio secondo gli analisti americani), anche per via dell'abbondanza di gas. Secondo la JPMorgan Chase a giugno la produzione industriale è calata appena dell'1,8% rispetto all'anno precedente e «l'indicatore di attività corrente» della Goldman Sachs, una misura in tempo reale della crescita economica, da drammatico che era si è attestato su livelli "accettabili". Altra componente: il mercato interno. Da tempo alcune parti dell'economia russa sono piuttosto scollegate dall'Occidente (anche per via delle sanzioni del 2014). Questo ha ridotto la loro crescita, ma ha reso meno dolorosa la recente intensificazione dell'isolamento. Nel 2019 gli investimenti diretti stranieri nel paese valevano circa il 30% del Pil, rispetto a una media globale del 49%. Senza contromisure adeguate e in alcuni casi introvabili per la Russia del doman non v' è certezza. Oggi come oggi, però, i conti tornano.

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