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Erdogan, "arriveremo di notte": minacce mafiose, dove scoppia la guerra

Renato Farina
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In un comizio di sabato 3 settembre, il presidente-sultano turco Recep Tayyip Erdogan, sporgendo il suo busto sulla folla e sul Mar Nero, ha intimato a governanti e popolo greco: «La vostra occupazione delle isole dell'Egeo (vicine alla Turchia, ndr) non è vincolante per noi. Quando sarà il momento, faremo ciò che è necessario». Si è fermato tre secondi. La platea (quasi) oceanica intanto spegneva ogni brusio, smetteva di fiatare. La domanda galleggia collettiva e silente nell'aria: dirà la parola "guerra"? Il rifondatore ottomano la tiene sulla punta della lingua, gli sta per cadere fuori dalla bocca, penzola, la fa ballare un po', eccita l'immaginazione del popolo, poi trova una perifrasi da fumetto noir: «Possiamo arrivare all'improvviso, di notte!». Che scroscio di osanna da udirsi in capo al mondo. Davvero? Figuriamoci. Qualche capo di Stato o di governo, ministro degli Esteri, si è alzato in piedi, nei successivi dieci minuti, un'ora, trenta ore, due giorni, in Europa, America, Asia, Oceania, Antartide mettendosi al fianco della piccola ma spiritualmente infinita Atene, che ha forgiato il pensiero occidentale e la bellezza universale? Stoltemberg-Nato, Biden-Usa? Zero.

QUEL TRENO PER KIEV
Il trio di statisti europei (in ordine di Pil: Scholz, Macron e Draghi) immortalati insieme sul treno che li portava di notte a Kiev, magari hanno preso un traghetto per Atene? Ursula von Der Leyen forse si è immolata come uno scudo umano alla frontiera dell'Unione Europea, senza che ce ne accorgessimo, mettendo a rischio la provvista di gas che dall'Azerbaijan, alleato di ferro di Erdogan, passa nei tubi della Turchia. Scusate le domande retoriche dato che la risposta la sapevate già, davvero unitaria. No. Niente. Zero. Nisba. Dopo quel comizio che ha fatto luccicare i cannoni, le cancellerie occidentali hanno confinato quelle espressioni da Attila in un vuoto pneumatico. Va così. Questa aggressione alle mosse preliminari è stata protetta da una campana di vetro oscurato e insonorizzato. La Grecia sente la scimitarra a un palmo dal collo e nessun potente giustamente filo-ucraino ha però spostato non diciamo il piedino, ma emesso un suono di solidarietà con il collega primo ministro Kyriakos Mitsotakis. Immaginatevi se una frase simile fosse stata pronunciata sabato non da un sotto panza, magari il vice del comitato di sicurezza tipo Medvedev, ma da Putin nei confronti della Germania per aver mandato i panzer Leopard a difendere l'Ucraina. «Possiamo arrivare a Berlino, all'improvviso, di notte!».

ABBANDONATA
Il fatto è che la Grecia non se la fila nessuno, deve aver protestato, ne siamo sicuri, ma anche se Erdogan le spezza le reni, amen. Non possiamo permetterci di inimicarcelo. E questo vale per tutti. L'Europa dovrebbe, eccome se dovrebbe dirgli: ehi sultanino, se ripeti una mezza volta queste minacce, ti tagliamo fuori da tutto, chiudiamo commerci, ti facciamo andare in malora, visto che il tuo Paese sta all'80 per cento di inflazione, basta una spinta e vai giù. Sogni temerari. I rapporti di forza ce lo impediscono, dato che esse sono tutte impegnate per sconfiggere lo Zar, e di rimbalzo indebolire la Cina. I principi in questo caso vanno a farsi un pochino fottere. I confini della Grecia, isole comprese, anche a ridosso della costa turca, appartengono al sacro suolo europeo, sanciti dallo storia e da trattati internazionali vincolanti. Pertanto a essere candidata come prossima Ucraina, meritando la mobilitazione degli Stati e dei popoli amanti della libertà, non è soltanto l'Ellade ma l'Unione Europea in quanto tale: cioè noi. Siamo tutti greci! Ma va' là. Cos' è la Grecia adesso? Contava qualcosa quando stava per fallire, trascinando con sé nel mulinello dell'annegato le banche tedesche, francesi e olandesi. Ora che la troika le ha succhiato il sangue per conto di Germania, Francia e Paesi Bassi le hanno succhiato il sangue, non hanno armi di ricatto. Le ha la Turchia...

TERZO POLO
Ci piaccia o no, adesso è lei a essere intoccabile. Si è costituita come Terzo Polo, piazzandosi in mezzo ai contendenti. Erdogan ha organizzato due tornate (inutili) di trattative a Istanbul nel simbolico palazzo del Sultano. Ha visto Putin trattandolo con calore, in agosto è stato a Leopoli ed ha abbracciato Zelenski, dicendo che i confini dell'Ucraina sono intangibili. E quelli della Grecia? Lui dice, un po' come il general Videla in Argentina nella contesa con il Regno Unito a proposito delle Falklands: le isole dell'Egeo che stanno sulla piattaforma continentale turca appartengono alla nostra "patria blu", giacimenti petroliferi compresi. Fa parte dal 1952 della Nato, ha il secondo esercito dopo quello Usa, ha avuto il coraggio di denunciare la Grecia al segretario Stoltenberg perché ostacolerebbe il volo degli aerei turchi in ricognizione per giovare all'Ucraina. Intanto minaccia i curdi in Siria e li bombarda in Iraq. È diventato il mediatore universale. E con ciò si è preso per sé il posto nel mondo che l'Unione Europea avrebbe per vocazione: abbracciare Ovest ed Est. E magari il Sud, e cioè l'Africa. Macché gli abbiamo mollato pure la Libia e la Somalia (parlando da italiani). Erdogan rifiuta di trattare la questione territoriale con la Grecia. Tranne i curdi, anche la opposizione al regime del Sultano sta con lui in politica estera. E pur di non rischiare la sconfitta alle elezioni del 2023 magari «improvvisamente, una notte...». (A proposito, ecco la dura reazione di Bruxelles. Peter Stano, portavoce del capo della diplomazia dell'Ue Josep Borrell, in risposta alla domanda di un giornalista durante il briefing stampa quotidiano, ha dichiarato: «Ci aspettiamo che la Turchia si astenga dall'escalation verbale». Un vero missile)

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