Azovtal, Putin ammazza e umilia: in cosa trasforma la fonderia
La strada che porta all'acciaieria Azovstal di Mariupol sembra una discesa negli inferi. Persino per gli standard di una città quasi completamente distrutta dopo oltre due mesi di assedio e bombardamenti, i dintorni dell'impianto metallurgico riescono a impressionare la vista: case sventrate ed edifici carbonizzati trasformati in scheletri, sottobosco disseminato di frammenti di metallo, bossoli e blocchi di cemento, alberi stati falciati, tagliati e bruciati. Crateri da schivare larghi 15 metri. Eppure, è solo l'antipasto.
Appena prima di varcare uno degli accessi secondari dell'Azovstal a Libero vengono date due indicazioni: seguire passo dopo passo i soldati, non mettere mai piede per nessun motivo su una superficie che non sia d'asfalto.
L'Azovstal, infatti, è un deserto dei tartari, un regno post apocalittico in cui giganti feriti di acciaio e calcestruzzo provano a stare in piedi nella desolazione. Ma è anche, tutt' ora, un sito militare attivo. Dentro il mega complesso da undici chilometri quadrati, che diventano ventiquattro considerandolo i cunicoli sotterranei d'epoca sovietica dove per settimane almeno in 2500 tra soldati ucraini del Reggimento Azov, marines e semplici civili sono rimasti barricati durante l'assedio russo, le operazioni di bonifica e sminamento sono ancora in alto mare.
BOMBE SU BOMBE
Gli ucraini hanno lasciato trappole esplosive dappertutto, le stesse che, insieme alle alte postazioni dei cecchini e agli stabilimenti in cui erano piazzati cannoni e obici, nella loro intenzione avrebbero dovuto (e potuto vista la natura inespugnabile del sito) fermare l'offensiva dei russi. Che però non c'è mai stata.
Vladimir Putin in persona, quando la città costiera era sotto il totale controllo russo, ordinò il 21 aprile di non assaltare l'Azovstal, di circondare il sito, impedire il deflusso e bombardare giorno e notte l'acciaieria con artiglieria e aviazione tattica.
Gli ucraini, da par loro, avevano già da settimane stipato nei bunker antiaerei cibo, acqua e risorse per poter resistere mesi. Ma comunque non senza pericoli. Perché il pattugliamento con i droni, col passare del tempo, ha consentito ai russi di scovare i punti di accesso (sempre due per ogni bunker) dei rifugi e bombardarli per creare delle vere prigioni sotterranee. Tra la porzione di reticolato in cui si rischia davvero di perdersi visitato da Libero, non mancano camerate in cui combattenti sono rimasti bruciati vivi, siti di stoccaggio di materiale, improvvisati quartier generali con materiale motivazionale: poster che elevano la "figura del combattente", volti dei capi del Battaglione Azov, murales con il sole nero, rune delle SS naziste e il 14/88, il riferimento numerico alle quattordici parole e agli 88 precetti coniati dal suprematista bianco americano David Lane (oltre alle 88 parole di un paragrafo situato nell'ottavo capitolo del primo libro del Mein Kampf e alle due H dell'alfabeto arabo come saluto ad Hitler). Dappertutto, bossoli, bombe a mano, mirini per fucili ad alta precisione, oggetti presumibilmente trafugati dai negozi di Mariupol (tra cui moltissimi orologi), garze e medicinali.
DISASTRO MEDICO
Ecco, il piano di barricata ad oltranza del Battaglione Azov più che per mancanza di risorse è fallito per mancanza di medicine. Troppi i feriti gravi, troppo carenti le condizioni igieniche generali, troppo provante alla lunga la vita da tumulati.
Così, il 20 maggio, dopo settimane di evacuazioni parziali e trattative, tutti i soldati ucraini rimasti si sono arresi. I comandanti dell'Azov stati trasferiti nella prigione Lefortovo di Mosca mentre centinaia di prigionieri sono stati smistati nelle colonie sotto il controllo della Repubblica Popolare di Donetsk. Una di queste, Yelenovka, è stata bombardata una settimana fa in circostanze ancora da chiarire.
Mentre a Mariupol è iniziata la ricostruzione di strade, ospedali e siti residenziali che dovrebbero ospitare diverse decine di migliaia di sfollati prima dell'inverno, il futuro del complesso siderurgico che fu costruito dall'Unione Sovietica all'inizio degli anni '30 e che fino a 6 mesi fa offriva lavoro ad oltre 10mila persone ed era in grado di produrre più di sei milioni di tonnellate di acciaio all'anno, resta da decifrare.
Il proprietario di Azovstal, Rinat Akhmetov, l'uomo più ricco d'Ucraina, ha dichiarato che intende fare causa alla Russia per 20 miliardi di euro di perdite. La Russia invece ha intenzione di trasformare il mega-sito in un parco industriale o in una zona ricreativa, come ipotizzato dal vice primo ministro Marat Khusnullin, secondo cui in generale Mosca vorrebbe espandere la capacità del porto di Mariupol e sviluppare il turismo locale. Denis Pushilin, capo della Repubblica Popolare di Donetsk, ha supportato l'ipotesi della creazione di un parco tecnologico, un parco pubblico o un'area residenziale al posto dell'acciaieria. I costi di realizzazione sono difficili da ipotizzare ma si parla di miliardi di euro, che dalla Russia dovrebbero piovere negli anni a venire per cambiare volto alla città e in generale alla Repubblica separatista dove il prossimo settembre dovrebbe tenersi il referendum per l'adesione alla Federazione russa. La promessa faraonica di Mosca è un messaggio da inviare agli ucraini come già accaduto con la Crimea, i cui investimenti dal 2014 ad oggi sono stati ingenti. Un modo per dire: noi qui siamo dei nababbi, mentre scegliere l'Occidente non paga.